Dal dire al fare: dallo storytelling allo storydoing

L’arte del narrare si trasferisce nel marketing e “raccontarsi” diventa il modo migliore per stimolare l’esperienza di acquisto.l

I brand hanno cominciato a parlare attraverso il racconto di una storia, per agire sul piano emotivo, sedurre e convincere un pubblico a compiere un’azione che, altrimenti, non avrebbe mai fatto.

 

di Stefania Giuseppetti

Con la consapevolezza che il racconto, da sempre, costituisce l’elemento di unione di una comunità e la sua forza prorompente ha attraversato i secoli fino ad approdare nel mondo digitale, l’antica arte del narrare si trasferisce nel marketing e “raccontarsi” diventa il modo migliore per stimolare l’esperienza di acquisto.

Citando Thierry Libaert – specialista francese leader nella comunicazione organizzativa ed ex professore di Comunicazione organizzativa all’Università cattolica di Lovanio –  “prima di essere una tecnica di comunicazione, i racconti sono parte integrante della vita quotidiana di ogni impresa, che si tratti di grandi miti fondatori, (…) di racconti quotidiani che costituiscono la vita sociale dei lavoratori, o dei racconti di finzione in cui l’impresa si mette in scena”.

LA NARRAZIONE COME MEZZO DI COMUNICAZIONE

Risulta allora chiaro che la narrazione non è soltanto una questione di letteratura: saperla utilizzare come mezzo di comunicazione efficace apre le porte a nuove possibilità di costruire significati e raggiungere fette di lettori, o di pubblico più ampie.

Infatti, spesso si sente dire che le persone non acquistano solo prodotti ma storie. Allora i brand hanno cominciato a parlare attraverso il racconto di una storia, per agire sul piano emotivo, sedurre e convincere un pubblico a compiere un’azione che, altrimenti, non avrebbe mai fatto.

“Lo storytelling management è una disciplina ampia e articolata che, basandosi sui principi della narrazione applicata all’impresa, genera un vasto assortimento di strumenti, cartacei, digitali e relazionali che possono essere applicati a diverse aree o funzioni aziendali, come per esempio: principi strategici; brand management; comunicazione integrata; advertising; formazione; product design” [“L’impresa nell’era digitale: Tecnologie informatiche e rivoluzione digitale al servizio dell’impresa” di Gianpaolo Neri].

Ogni azienda, con i suoi prodotti e servizi, è una “storia” unica ed irrepetibile, capace di distinguersi e di creare vantaggio rispetto ai competitors. C’è chi la descrive in un video, chi lo fa attraverso il sito ufficiale del brand e chi la mostra nel packaging del prodotto. In ogni caso l’obiettivo è suscitare emozioni. Ma nello scenario attuale saturo di messaggi, le aziende smettono di raccontare le storie per passare ai fatti. Dal dire al fare, lo storytelling lascia spazio allo storydoing: il racconto dell’azienda, dei suoi valori e dei suoi prodotti attraverso i fatti della vita reale del consumatore.

LA DIFFERENZA TRA LO STORYTELLING E LO TORYDOING

Se lo storytelling racconta, lo storydoing crea le storie che si fanno. Queste, a differenza di quelle che si raccontano, hanno la straordinaria capacità di instaurare legami di fedeltà molto solidi e duraturi. Lo storydoing diventa un ponte concreto tra l’azienda e il consumatore, mezzo di promozione diretto che, con la narrazione della sua esperienza, contribuisce a fare la storia dell’impresa.

L’EFFICACIA DELL’AUTONARRARSI

Il desiderio di auto-narrarsi è già insito negli utenti ma i social network e i canali web in generale, con l’ampia visibilità che hanno, sono gli strumenti ideali per favorire tale strategia e per coinvolgere le community in esperienze partecipative.

AirBNB, Amazon, Apple, Waze, WhatsApp, Microsoft, Netflix e Uber sono tutte aziende che, offrendo esperienze di consumo rilevanti, hanno compreso le esigenze di mercato e così hanno conquistato il cuore dei clienti. E con loro hanno fatto storia.

Creare una strategia significa semplicemente fare delle scelte e la bussola che le guida è il cliente. L’uomo vive di storie sin da piccolo e il bisogno di inserirsi all’interno di format narrativi è qualcosa che nasce naturale: non è più solo al centro delle strategie di marketing ma diventa ambasciatore della marca e protagonista consapevole delle proprie scelte quotidiane, contribuendo alla notorietà e al successo di un brand.

Ed è così che il ConsumAutore partecipa al marketing collaborativo, una revisione moderna del passaparola.

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Thierry Libaert: “prima di essere una tecnica di comunicazione, i racconti sono parte integrante della vita quotidiana di ogni impresa

Lo storytelling management: ogni azienda, con i suoi prodotti e servizi, è una “storia” unica ed irrepetibile

Lo storydoing:  un ponte concreto tra l’azienda e il consumatore

Marketing collaborativo: una revisione moderna del passaparola. Creare una strategia significa semplicemente fare delle scelte e la bussola che le guida è il cliente

Questa è l’industria 4.0

L’inizio dell’ennesima rivoluzione industriale che porterà alla creazione di fabbriche completamente automatizzate.

Ecco una serie di misure a favore delle imprese: “Nuova Sabatini”, Fondo di Garanzia, Credito d’imposta R&S, Patent box. Di opportunità ce ne sono e ce ne saranno sempre di più. Ci vogliono conoscenza, studio, nuovi progetti

*Dott.ssa Francesca Paleari

Dobbiamo tornare indietro di quasi 250 anni, per trovare quella che convenzionalmente viene definita Industria 1.0: correva l’anno 1784 e l’invenzione della macchina a vapore, rivoluzionò la produzione di forza meccanica, mandando in cantiere l’uso di mulini ed animali, sino allora unici produttori di una primaria forma energetica.

Dobbiamo altresì aspettarne quasi altri 90, di anni, per arrivare all’utilizzo di energia elettrica e petrolio come nuova fonte energetica: siamo all’ Industria 2.0.

Per lo step successivo (Industria 3.0), devono passare addirittura un secolo e due guerre mondiali, siamo negli anni 70 del ‘900, quando l’automazione e le prime forme di elettrotecnica ed informatica (ITC) rivoluzionano ulteriormente gli asset produttivi ed organizzativi del tessuto industriale.

Oggi, alle fine della seconda decade del nuovo millennio, siamo ad affrontare una ennesima sfida: l’industria 4.0 rappresenta una rivoluzione dei processi produttivi con l’inserimento dell’informatica avanzata, della robotica, dell’uso di sensori di ogni tipo; dalla interconnessione degli strumenti e macchinari alla programmazione quasi totale dei cicli produttivi, fino all’avvento ormai prossimo dell’intelligenza artificiale (AI) e della Blockchain (tematiche che tratteremo nei prossimi numeri).

Ma che cosa è l’Industria 4.0?

Come già detto è l’inizio dell’ennesima rivoluzione industriale che porterà alla creazione di fabbriche completamente automatizzate.

Per affrontare questa sfida, i governi europei e quello italiano nello specifico, hanno già messo in atto e metteranno in programma piani nazionali di sviluppo e supporto, al fine di incentivare l’aggiornamento tecnologico del sistema industriale, non perdendo terreno sul piano competitivo mondiale.

Il Piano nazionale Impresa 4.0, che in Italia ha preso il posto del precedente piano Industria 4.0, prevede il potenziamento di alcune misure che nello specifico si sono già dimostrate efficaci, nonché l’inserimento di nuove azioni.

Il programma si basa su alcuni strumenti che possono essere utilizzati in via esclusiva o complementare; vediamo un elenco non esaustivo delle principali misure (Fonte: Ministero dello sviluppo economico).

  • Iper e Super Ammortamento: Supportare e incentivare le imprese che investono in beni strumentali nuovi, in beni materiali e immateriali (software e sistemi IT) funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi.
  • Iper-ammortamento: supervalutazione del 250% degli investimenti;
  • Superammortamento: supervalutazione del 130% degli investimenti;

NUOVA SABATINI

La misura Beni strumentali (“Nuova Sabatini”) è l’agevolazione messa a disposizione dal Ministero dello sviluppo economico con l’obiettivo di facilitare l’accesso al credito delle imprese e accrescere la competitività del sistema produttivo del Paese; questa misura sostiene gli investimenti per acquistare o acquisire in leasing macchinari, attrezzature, impianti, beni strumentali ad uso produttivo e hardware, nonché software e tecnologie digitali.

FONDO DI GARANZIA

La sua finalità è quella di favorire l’accesso alle fonti finanziarie delle piccole e medie imprese mediante la concessione di una garanzia pubblica che si affianca e spesso si sostituisce alle garanzie reali portate dalle imprese.

CREDITO D’IMPOSTA R&S

Credito d’imposta del 50% su spese incrementali in Ricerca e Sviluppo, riconosciuto fino a un massimo annuale di 20 milioni di €/anno per beneficiario e computato su una base fissa data dalla media delle spese in Ricerca e Sviluppo negli anni 2012-2014. Il credito d’imposta può essere utilizzato, anche in caso di perdite, a copertura di un ampio insieme di imposte e contributi.

PATENT BOX

Il decreto “Patent Box” prevede un regime opzionale di tassazione per i redditi derivanti dall’utilizzo di software protetto da copyright, di brevetti industriali, di disegni e modelli, nonché di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili.

Di opportunità quindi ce ne sono e ce ne saranno sempre più. Ci vogliono conoscenza, studio, nuovi progetti. E i partners giusti. Yes, we can.

 

* Founder & General Manager Obiettivo Sviluppo

 

CARREFOUR: “FORTI INSIEME” – Intervista Maurizio Nicolello, Direttore Franchising

Carrefour: realizzare le proprie aspirazioni imprenditoriali in un clima di fiducia e trasparenza

Intervista a Maurizio Nicolello, Direttore Franchising di Carrefour Italia: “Siamo alla ricerca di imprenditori già presenti nella Grande Distribuzione con  negozio ed insegna propri, ma interessati a cambiare insegna, o persone che vogliono entrare , per la prima volta, nel mondo della GDO.

Con una cifra di 5,51 miliardi di euro, più di 1000 punti vendita tra ipermercati, Carrefour Market, Carrefour Express e Cash e Carry, Carrefour è un’insegna di elevata notorietà presente in 18 regioni e che impiega in Italia oltre 18.000 collaboratori. “Carrefour è arrivato in Italia nel 1999, dal distacco di due grandi aziende GS e Diperdì – afferma Maurizio Nicolello, Direttore Franchising di Carrefour Italia – a sin dal suo esordio nella nostra Penisola è stato abbastanza naturale proseguire con la formula del franchising, perché sia GS che Diperdì già erano strutturate come franchising. La formula si è da subito dimostrata di grande successo anche grazie alla forte riconoscibilità del brand, garanzia di credibilità sul mercato italiano”

Quali sono i vantaggi di affiliarsi a Carrefour?

“Innanzitutto il potenziale franchisee ha la possibilità di scegliere tra diversi format, ciascuno con una strategia studiata ad hoc e assortimenti ampi e profondi che comprendono oltre 3.000 prodotti a marchio Carrefour. Il primo e indiscusso vantaggio è quello di affiliarsi ad un brand consolidato:questo è dimostrato dal fatto che da quando l’azienda è arrivata in Italia, circa 20 anni fa, continua a gestire esclusivamente i Carrefour Market e i Carrefour Express, senza mai cambiare marchio, in quanto garanzia di sicurezza. In secondo luogo all’interno della nostra organizzazione abbiamo delle strutture dedicate che affiancano il franchisee fin dal suo ingresso, sotto l’aspetto finanziario, commerciale ed economico. I nostri capi area, direttori ed ex direttori di supermercati, seguono tutte le fasi dell’apertura di un nuovo punto vendita realizzando una vera e propria formazioni, ed erogando consigli preziosi e fondamentali per l’imprenditore all’interno della propria gestione. Inoltre ci avvaliamo della collaborazione di un network di commercialisti i quali forniscono un servizio di controllo gestione e amministrazione di una attività specifica, come il supermercato, mettendo tutti i mesi a disposizione dell’imprenditore i dati necessari della gestione del suo negozio dando quindi l’opportunità di intervenire in caso di problemi e nel momento più opportuno. In dettaglio supportiamo il nostro franchisee sin dalla fase inziale con progettazione e studio di layout, secondo i più moderni criteri di Commercio e lo aiutiamo nella realizzazione di business plan costruiti sulle singole realtà”.

Come è organizzata la formazione?

“Siamo gli unici in Italia ad offrire una formazione modulare che si sviluppa su tre livelli: il primo rivolto ai dipendenti per prepararli alla vendita e diventare dei buoni caporeparto, i cosiddetti corsi iniziali di mestiere; il secondo, più evoluto, che viene svolto all’interno del supermercato per insegnare la gestione di tutti gli aspetti amministrativi che possono presentarsi all’interno del punto vendita, i corsi di management; il terzo è rivolto agli imprenditori, tenuto da esperti esterni all’azienda, su tematiche commerciali e programmi di aggiornamento, che possono essere di grande rilevanza per il franchisee. Infine abbiamo anche una piattaforma di formazione on line. Questo significa poter realizzare le proprie aspirazioni imprenditoriali in un clima di fiducia e trasparenza. Avvantaggiandosi del know how e dei tanti servizi studiati per garantire la massima redditività dell’investimento”.

Qual è il profilo del vostro affiliato tipo?

“Da sei mesi abbiamo lanciato un progetto che si chiama “Forti Insieme” proprio per la ricerca dei nostri affiliati. Innanzitutto ogni imprenditore ha un ruolo chiave per la comunità in cui opera, dove il suo negozio diventa un punto di riferimento, ma anche per Carrefour, in quanto la conoscenza del territorio e le sue capacità imprenditoriali sono fondamentali per il successo del Gruppo.  Siamo alla ricerca di imprenditori già presenti nella Grande Distribuzione con  negozio ed insegna propri, interessati a cambiare insegna, o persone che vogliono entrare , per la prima volta, nel mondo della GDO. Carrefour ha una serie di supermercati a gestione diretta e altri di prossima apertura, quindi è costante la ricerca di persone con l’ambizione di diventare imprenditori. Nella fare di recruiting  facciamo dei colloqui telefonici e, dopo attente valutazione,  la persona che riteniamo possieda le caratteristiche giuste per poter entrare a far parte del mondo Carrefour, viene inserita in un percorso formativo alla fine del quale gli vengono attribuiti dei negozi di piccole o medie dimensioni, sulla base delle caratteristiche personali e patrimoniali”.

Progetti futuri?

“Puntiamo molto sull’innovazione. Siamo un’azienda che crede molto nelle persone, quindi per le nostre nuove aperture ricerchiamo affiliati con la visione e la condivisione di un progetto durature nel tempo. Infatti nell’imminente futuro sono in previsione circa 300 aperture”.

@Redazione AZ Franchising

RETAIL IN CRESCITA GRAZIE ALL’ECOMMERCE

Nello scenario del commercio digitale, in continua crescita, è fondamentale che le aziende sviluppino una strategia di marketing in grado di utilizzare al meglio tutti i canali digitali e fisici

 

Prosegue la crescita dell’eCommerce B2c in Italia. Il valore degli acquisti online sfiora nel 2019 i 31,6 miliardi di euro, +15% rispetto al 2018: l’incremento in valore assoluto è il più alto di sempre (4,1 miliardi di €). Questo lo scenario presentato dall’Osservatorio eCommerce B2c, che quest’anno festeggia i 20 anni dalla prima rilevazione, durante un convegno promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Netcomm.

“Dopo vent’anni dalla prima ricerca pubblicata dall’Osservatorio, l’eCommerce è indubbiamente diventato un fenomeno di assoluta rilevanza: un canale prioritario di relazione con i clienti attraverso lo sviluppo di servizi ad hoc e ingenti investimenti in infrastrutture logistiche, informatiche e di rete.” Afferma Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano. “Se consideriamo che nel 1999 l’eCommerce in Italia valeva circa 100 milioni di € (quasi esclusivamente generati da acquisti di servizi) e che solamente nel 2010 raggiungeva la soglia dell’1% del Retail, sono evidenti i progressi fatti dal nostro Paese negli ultimi anni. Nonostante il ritardo rispetto ad altri mercati, anche in Italia l’eCommerce è ormai decisivo nello sviluppo e nella promozione di modelli fortemente innovativi di relazione con i consumatori che, pur partendo dall’online, si propagano a tutto il Retail”.

“Nello scenario del commercio digitale, in continua crescita, è fondamentale che le aziende sviluppino una strategia di marketing in grado di utilizzare al meglio tutti i canali digitali e fisici. L’interazione tra online e offline, infatti, è oggi una prerogativa per il consumatore che chiede di vivere la stessa esperienza in tutti i canali; anche per questo i punti vendita devono essere trasformati in touch point esperienziali e in showroom, con l’obiettivo di integrarsi nella strategia omnicanale del brand, accanto ai social e all’e-commerce.” Commenta Roberto Liscia, Presidente di Netcomm, che prosegue: “Le imprese sono chiamate a investire sempre di più nelle tecnologie, che sono il cuore della nuova rivoluzione sociale, economica e commerciale cui stiamo assistendo. L’intelligenza artificiale, ad esempio, è l’innovazione tecnologica emergente da guardare con maggiore interesse fra quelle che stanno già ridisegnando tutta la filiera dell’industria. Le sue capacità di analisi predittiva, infatti, sono un elemento chiave sia nella personalizzazione dell’offerta e nell’esperienza di acquisto, sia nel mantenimento della relazione con il cliente. Non solo, l’AI consentirà di ridurre la percentuale di resi, che comportano un impatto energetico negativo sulla sostenibilità ambientale, un fattore importante per la scelta di acquisto degli italiani, soprattutto per i più giovani.”

@Redazione AZ Franchising

COSA SI ATTENDONO GLI SHOPPER DAL NEGOZIO FISICO DEL DOMANI

Gli acquirenti del futuro cercheranno nello shopping il divertimento ma con un’attenzione importante per il rispetto dell’ambiente, della natura e per l’origine del prodotto. Il 78%, infatti, ha dichiarato di essere preoccupato per la questione ambientale e il 73% afferma di fare attenzione alla provenienza dei prodotti. Cresce inoltre, sempre di più, la voglia di non omologarsi grazie ad articoli personalizzati e originali. Il 74% dei clienti retail coinvolti nell’indagine ha dichiarato di voler avere uno stile del tutto personale senza assomigliare agli altri. Un desiderio molto diffuso soprattutto fra i più giovani che apprezzano la possibilità di essere coinvolti in prima persona nella creazione di un articolo, addirittura attraverso concorsi indetti da designer e stilisti o con l’ausilio di stampanti 3D. L’aspettativa principale del cliente è quella di vivere il momento della visita e dell’acquisto sul punto vendita in maniera più rilassata e personale: da shopping experience a human experience. L’82% degli intervistati considera l’atmosfera generale un elemento importante sentirsi in totale comfort all’interno del punto vendita. Un ambiente accogliente che vede nella musica un asset decisivo: ben 3 intervistati su 4 dichiarano che una musica adatta ai propri gusti contribuisca a rendere l’esperienza nel negozio positiva

@Redazione

Che cos’è la clausola d’esclusiva nel franchising

Avv. Paolo Fortina e dott.ssa Ilaria Secchiatti – Studio Legale NL

La clausola d’esclusiva impone ad una o ad entrambe le parti a non stipulare con terzi contratti all’interno di una determinata zona e per un preciso arco temporale.

Tale patto realizza lo scopo di garantire al franchisor e al franchisee una serie di vantaggi economici e di mercato.

Nel nostro ordinamento giuridico vige in ambito civile il principio dell’autonomia contrattuale che permette, ai sensi dell’articolo 1322 c.c. di conferire alle parti la possibilità di determinare liberamente il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge.

In quest’ottica l’affiliato e l’affiliante possono determinare il contenuto del contratto nel rispetto della Legge n. 129/2004 e, tenendo conto della propria volontà o della tipologia di attività commerciale, regolamentare determinate questioni piuttosto che altre.

Nel contratto di franchising un esempio frequente è la previsione di una clausola d’esclusiva.

La clausola di esclusiva impone generalmente ad una o ad entrambe le parti contraenti a non stipulare con terzi contratti aventi per oggetto specifiche prestazioni, come l’acquisto o la vendita di beni, all’interno di una determinata zona e per un preciso arco temporale.

Tale patto realizza lo scopo di garantire al franchisor e al franchisee una serie di vantaggi economici e di mercato; infatti, da un lato il franchisor si assicura la vendita dei propri prodotti, mentre dall’altro il franchisee ha la possibilità di disporre di un’area esclusiva di vendita, entro la quale non dover subire la concorrenza di altri distributori del medesimo prodotto.

Per tale ragione, è spesso consigliato prevedere una clausola d’esclusività nel contratto anche per assicurare un rapporto duraturo e trasparente tra l’affiliato e l’affiliante.

Negli ultimi anni si sono sviluppate nella prassi contrattuale varie tipologie di clausola d’esclusiva che si distinguono tra loro sulla base del numero di soggetti obbligati e dell’oggetto della clausola.

Per quanto riguarda i soggetti obbligati, la clausola d’esclusiva può essere bilaterale, in altre parole interessare entrambe le parti, oppure unilaterale, ossia riguardare solo una parte.

In materia di contratti di affiliazione commerciale, l’esclusiva è di regola bilaterale, poiché è in grado di disincentivare quei comportamenti opportunistici e disonesti del franchisee – che potrebbe adottare, trascurando l’attività di franchising per dedicarsi totalmente ad attività simili e concorrenziali – e del franchisor – che potrebbe distribuire il suo prodotto a più franchisee nella stessa area di competenza.

Per tali ragioni, spesso e volentieri, il contratto di franchising prevede tale clausola bilaterale al fine di obbligare da un lato il franchisee ad astenersi dal vendere, produrre beni o servizi concorrenti o diversi da quelli forniti dall’affiliante, dall’altro il franchisor ad astenersi dal nominare nello stesso territorio altri franchisee per la distribuzione degli stessi beni.

Per quanto riguarda l’oggetto, l’esclusiva può essere:

1) di territorio, in quest’ipotesi il franchisor si obbliga a non designare altri rivenditori del suo prodotto in una determinata zona, oppure il franchisee di obbliga a non vendere al di fuori di tale ambito; inoltre l’esclusiva di territorio può essere riferita ad un insieme di clienti, determinato o determinabile, piuttosto che ad un area geografica;

2) di prodotto, in tal caso il franchisee si obbliga ad acquistare determinati beni esclusivamente presso il franchisor e di conseguenza a non distribuire prodotti diversi da quelli pattuiti, o il franchisor si obbliga a non distribuire i propri prodotti a soggetti diversi dal franchisee in quell’area;

3) di acquisto, ossia l’obbligo da parte del franchisee di acquistare determinati beni solo da uno specifico franchisor.

Quest’ultima tipologia di clausola è anche quella più frequente nell’affiliazione commerciale, poiché da un punto di vista economico, realizza un risultato analogo all’obbligo di non concorrenza, così in linea di massima il divieto in capo al franchisee sarebbe circoscritto al solo acquisto dei prodotti da terzi, lasciando ampia autonomia su tutto il resto.

Ma cosa accade nel caso in cui una delle parti obbligate ponga in essere un comportamento idoneo a violare la clausola d’esclusiva?

Secondo la più recente giurisprudenza la violazione della clausola può dar luogo ad un’ipotesi di inadempimento contrattuale idonea a determinare la risoluzione del contratto in applicazione della norma generale dell’art. 1453 c.c. ed eventualmente al risarcimento del danno.

Infatti il patto di esclusiva svolge una funzione di grande rilevanza nel regolamento negoziale cui afferisce la tipologia dell’affiliazione commerciale, poiché ha forte peso specifico nell’equilibrio sinallagmatico: essa costituisce una garanzia di maggior guadagno per il franchisee e per il franchisor. L’inadempimento di un simile patto appare alla giurisprudenza serio ed idoneo a titolare la risoluzione del contratto (Tribunale Milano sez. V, 17/01/2019, n.425).

É comunque preferibile collegare la clausola d’esclusiva con una clausola risolutiva espressa, in questo modo si avrà la risoluzione del contratto in ipso iure, oppure con una clausola penale che quantifichi a priori il risarcimento del danno dovuto nel caso di violazione del patto d’esclusiva.

Tali aggiunte al regolamento contrattuale potranno solamente svolgere una funzione di dissuasione dal compimento di atti contrari al rapporto contrattuale, garantendo una maggior stabilità allo stesso.

Come in ogni contratto, detta clausola ha effetti vincolanti unicamente tra le parti e solo questi ultimi possono farla valere e rispondere di inadempimento contrattuale, poiché i terzi, anche se coinvolti, restano estranei agli obblighi assunti dal franchisor e dal franchisee con la stipula del contratto e quindi non possono essere contrattualmente responsabili.

Tuttavia è possibile far si che i terzi siano responsabili a titolo di concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598 c.c., qualora questi fossero a conoscenza della sussistenza della clausola ed in ogni caso abbiano proseguito con una condotta non conforme alla concorrenza professionale.

In conclusione, la clausola d’esclusiva non costituisce un elemento naturale del contratto di franchising, ma un elemento dal contenuto e dagli effetti molto ampi e vari che, solo se previsto espressamente per iscritto dal franchisor e dal franchisee, può entrare a far parte del regolamento contrattuale e senza il quale le parti non possono invocare alcuna tutela paragonabile per i propri interessi economici e commerciali.

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QUANTO VALE IL MADE IN ITALY NEL FRANCHISING

LA PAROLA AI PROTAGONISTI: Mario Resca Presidente Confimprese

L’estero funziona. Il made in Italy da esportazione piace soprattutto se declinato sotto l’egida del franchising.

Consolidamento del business in Italia, formula testata, prodotto made in Italy e buon rapporto qualità-prezzo sono le basi per azzardare lo sbarco sui mercati esteri. Sicuramente la politica di rischio condiviso offerta dalla formula franchising rappresenta un’ottima opportunità anche per le aziende di dimensioni più piccole, quelle che, per intendersi, hanno in Italia anche solo una ventina di punti vendita, con l’effetto positivo di fare crescere in patria un indotto di materie prime alimentari, di componenti di arredamento-design e di tessile moda. Molte imprese hanno già un network consolidato in diverse nazioni dove possono sfruttare economie di scala, logistica, supply chain e controllo della qualità sul cibo. Certo, la presenza di catene italiane all’estero è ancora inferiore rispetto a quelle straniere, ma il trend già da qualche anno ha iniziato a progredire a doppia cifra, con aziende che generano fino al 30% dei propri ricavi grazie a canone di affiliazione, royalty e vendita di prodotti. Non c’era da scommetterci sull’estero da quando il commercio italiano, incamminandosi verso il declino dei consumi sul mercato domestico, temeva la scomparsa di bar, caffetterie e casual fast food di casa nostra a discapito dell’invasione (in franchising) di potenti brand globali, invece a marcare la differenza sono la qualità del prodotto in Italia e format di rivendita dal design elegante. Va detto che in queste operazioni di sviluppo all’estero si sta imponendo in modo crescente un trend di affidamento dei ‘servizi di internazionalizzazione’ a società esterne. Ciò avviene in particolare nella gestione amministrativa e delle risorse umane specializzate nel BPO/business process outsourcing, talvolta anche integrato con consulenza legale e professionale, incrementando il livello della qualità e riducendo i rischi e i tempi di gestione di molteplici fornitori locali. Quanto al personale, le aziende preferiscono impiegare figure professionali locali dei master franchisor in un’ottica di risparmio dei costi. Lo sviluppo del brand è affidato a partnership locali opportunamente supportate dai referenti italiani già dalle prime fasi di start up (approvazione location, progettazione, applicazione standard gestionali e operativi, rispetto delle caratteristiche chiave del marchio). Il personale locale viene formato prima dell’apertura presso e tale percorso formativo viene poi consolidato con visite frequenti da parte del team italiano itinerante composto da visual manager e brand manager.

ECCELLENZE ITALIANE ALL’ESTERO: Consigliato da Confimprese

Natuzzi Editions ha vinto il Fast growing retailer estero. Il gruppo di Sant’Eramo in Colle ha registrato una crescita importante all’estero, grazie all’apertura di 52 punti vendita in Cina, Brasile e Usa come mercati prioritari di sviluppo, ma anche in UK, India, Francia. Il brand si è fatto portavoce della qualità artigianale italiana, fiore all’occhiello della produzione Natuzzi, 100% made in Italy con una collezione che propone divani, poltrone, tavoli da pranzo, letti, mobili e complementi d’arredo realizzati sia in collaborazione con designer di fama internazionale sia con il centro stile Natuzzi.

@Redazione AZ Franchising

 

GO CARPISA PRESENTA ‘HERITAGE JEEP’

UNA CAPSULE COLLECTION DA VIAGGIO PENSATA PER CHI AMA L’AVVENTURA

Celebra lo spirito sportivo e l’avventura all’aria aperta la collezione Go Carpisa, nata in collaborazione con il marchio americano Jeep, e rende omaggio ad un tema che da sempre appartiene al DNA dei due brand, ovvero il viaggio e il desiderio di esplorazione.
Una partnership che si propone di raccogliere le expertise dei due rispettivi brand così da offrire un prodotto dal design moderno ed esclusivo, curato nei minimi dettagli e con un’originalità senza precedenti.
Il progetto comprenderà una linea di trolley in tre taglie S-M-L, un borsone trolley a 2 ruote, marsupi, zaini e borsoni da viaggio caratterizzati da un alto contenuto tecnologico impreziosito da dettagli unici.
I trolley sono stati realizzati in resistente abs con pellicola superficiale in policarbonato dalla finitura satinata e sono dotati di trolley system telescopico, ruote Hinomoto doppie ed ultra-silenziose personalizzate in esclusiva per Jeep, per garantire resistenza e massima versatilità per ogni tipo di utilizzo. Il logo Jeep impreziosisce l’estetica del prodotto, rendendolo versatile e perfetto per il viaggio ma anche per una dimensione più urbana.
I modelli della capsule collection leggeri e comodi, adatti a tutte le stagioni saranno disponibili nei colori che per antonomasia rievocano le nuance della natura: verde militare, nero e arancio.
“Abbiamo pensato a Jeep per questa partnership, perché i due brand hanno molte caratteristiche in comune: oltre ad essere due marchi riconosciuti in tutto il mondo, entrambi celebrano la vera dimensione dell’avventura e presentano una forte componente di innovazione nell’area tecnica, senza però rinunciare alla loro anima sportiva e fashion”, Gianluigi Cimmino, CEO di Pianoforte Group.
Il deserto californiano del Mojave fa da sfondo agli scatti della campagna pubblicitaria, le immagini evocano così sia lo splendore di paesaggi inesplorati che la natura dei due brand.

La collezione, pensata sia per l’uomo che per la donna, sarà disponibile in tutti gli store Go Carpisa e su www.carpisa.com dal 13 dicembre 2019, diventando così il regalo perfetto per Natale.