Descrizione e sperimentazione: elementi essenziali del contratto franchising

di Alessandra Sonnati – Avvocato – Frignani Virano e Associati Studio Legale

L’art. 3 della legge 129/2004 elenca una serie di elementi che il contratto di franchising deve disciplinare. Tale lista è divisa in due categorie: oggetti essenziali ed oggetti eventuali. Tra gli oggetti essenziali rientra la specifica del know-how fornito. Tale specifica non può svilirsi in formule eccessivamente generiche e fumose, ma deve essere descritto in modo esauriente, tale, da un lato, da consentire di verificare se esso corrisponde ai criteri di segretezza e sostanzialità di cui all’art. 1 della legge e dall’altro, da mettere l’aspirante affiliato nelle condizioni di conoscere preventivamente in cosa consiste il know-how associato a quella determinata formula che gli verrà trasferito (e per il quale affiliato paga un corrispettivo).

Sempre l’art. 3 prevede inoltre l’obbligo di sperimentazione in capo agli aspiranti affilianti, statuendo che “… per la costituzione di una rete di affiliazione commerciale l’affiliante debba aver sperimentato sul mercato la propria formula commerciale”.

Si tratta di un vero e proprio test di mercato che serve a verificare la bontà della formula prima di concedere una licenza a terzi.

Lo scopo della norma è quello di evitare che vengano proposte ai potenziali affiliati attività in franchising la cui formula non è ancora stata sperimentata. In altre parole, la previsione di cui all’art. 3 vuole responsabilizzare l’affiliato evitando che questi faccia ricadere sugli affiliati i rischi ed i costi di formule non ancora testate. La sperimentazione dirà infatti se la formula “funziona” e se si può procedere all’avvio di una rete in franchising.

Della mancanza del know-how e della sperimentazione si è occupato il Tribunale di Bergamo

Quanto alla formula il Tribunale, dopo aver evidenziato – con un ragionamento non proprio lineare – che la formula commerciale sperimentata costituisce elemento essenziale e imprescindibile del contratto di franchising, ha accertato che nel caso sottoposto al suo esame non era stata inserita nel contratto alcuna precisazione circa la consistenza della formula commerciale costituente l’oggetto del contratto di affiliazione (in termini, ad esempio, di strategie per la gestione delle risorse umane e dei contatti o di norme comportamentali standardizzate, volte a fidelizzare l’utenza e ad agevolare il processo di avviamento e di mantenimento dell’attività). Non erano inoltre presenti rinvii al manuale operativo che l’affiliante sosteneva di avere consegnato al franchisee nella fase delle trattative né altri elementi da cui poter ricavare il contenuto della formula commerciale.

Sempre secondo il Tribunale mancava inoltre la prova della sperimentazione della formula commerciale, dal momento che era risultato che alla data di stipulazione del contratto in contestazione l’affiliante non aveva ancora concluso nessun contratto di franchising nè aveva esercitato in proprio l’attività oggetto del contratto di franchising.

Il Tribunale ha quindi dichiarato nullo il contratto di franchising in quanto mancante della descrizione della formula commerciale e della sua sperimentazione in epoca precedente la conclusione del contratto e, comunque, in mancanza di una esauriente descrizione del know-how.

Non è raro che gli affiliati sollevino il problema del know-how, lamentandone la mancata trasmissione: al riguardo è però opportuno distinguere l’ipotesi nella quale il know-how non è trasferito (ipotesi che condurrebbe alla risoluzione per inadempimento) da quella nella quale esso è inesistente (nel qual caso è corretto ipotizzare la nullità del contratto, per carenza di un elemento essenziale dello stesso, come avvenuto nel caso di specie).

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La sicurezza informatica nelle PMI – Internet of Things

Per proteggere i dati della propria impresa occorre scegliere il giusto provider di software e servizi.

Sensori che monitorano l’usura dei macchinari, segnalandone guasti e programmandone la manutenzione; dispositivi di tracciamento per la logistica; sistemi di distribuzione di contenuti multimediali su migliaia di schermi sparsi per il pianeta; e ancora, device che raccolgono ed elaborano ogni tipo di dato per migliorare prestazioni, ridurre i consumi, fornire analisi predittive.

L’Internet of Things ha innumerevoli applicazioni ed è ormai realtà nel campo industriale, anche in Italia, e lo sarà sempre di più.

Gli ultimi dati dell’Osservatorio IoT della School of Management del Politecnico di Milano, relativi al 2017, evidenziano che solo l’8% delle imprese dichiara di non sapere nulla di questo tema (contro il 25% dell’anno precedente), che un terzo circa ha partecipato a eventi sul tema e il 28% prevede di intraprendere azioni in questo ambito. Tuttavia c’è ancora molto da fare per sfruttare tutti i vantaggi dell’IoT e, per partire davvero con il piede giusto, le aziende, soprattutto le PMI, devono adottare un approccio che metta al centro un tema spesso sottovalutato: quello della sicurezza.“L’Internet of Things è una tecnologia che cambierà il nostro modo di vivere e che porterà sotto i riflettori il tema della sicurezza informatica, sul quale nel nostro Paese siamo drammaticamente indietro – afferma Bosello, presidente di Securbee, società specializzata in consulenza e servizi in ambito information & cyber security  –. Dobbiamo partire dalla consapevolezza che i dati sono un valore e un asset fondamentale per qualsiasi azienda, e vanno protetti con un approccio di “security by design”, cioè progettando sistemi, prodotti e servizi nell’ottica di garantire sicurezza, privacy e protezione dai rischi”. Rischi che, non dimentichiamolo, possono essere consistenti: non è un caso che alcuni degli attacchi informatici più gravi del recente passato abbiano sfruttato proprio dispositivi IoT. Come nel caso del DDoS record lanciato nell’agosto 2016 dalla botnet Mirai, che interessò 2,5 milioni di dispositivi connessi e rese internet irraggiungibile per alcune ore negli USA: un danno da milioni di dollari che ebbe però il merito di far balzare il tema security fra le priorità.

Ma quali sono i punti da presidiare con più attenzione quando si parla di IoT in azienda?

Due sono le tendenze prevalenti al momento: architetture Point-To-Point, dove i singoli nodi comunicano tra di loro, e architetture di tipo Cloud, dove i nodi sono connessi a internet tramite Wi-Fi o cavo Ethernet. Nel primo caso le informazioni passano da dispositivo a dispositivo, mentre nel secondo occorre costruire una rete in grado di gestire una grande mole di dati. La scelta del modello di rete IoT aziendale dipende da diversi fattori: budget (consistente per le soluzioni dei vendor, più basso se si opta per l’open source), dislocamento fisico dei dispositivi, copertura tecnica della rete, esigenze di personalizzazione. Ciascuna opzione presenta specifici problemi di sicurezza che vanno valutati attentamente assieme al proprio provider di servizi. L’importante è che questo sia fatto fin dall’inizio. In realtà, essere superficiali sulla sicurezza vuol dire trovarsi in un secondo momento a rifare, riscrivere, aggiungere, eccetera. Chi opta per un modello P2P deve prepararsi a gestire la sicurezza su ogni dispositivo, mentre per i servizi in cloud oggi la security è “by design”, cioè i sistemi sono progettati fin dall’inizio con l’obiettivo di proteggere dai rischi, centralizzando la sicurezza in applicazioni che gestiscono da remoto i dispositivi e li escludono se risultano compromessi (rendendo di fatto inutile, per chi attacca, “bucare” un singolo dispositivo). Ciò non toglie che bisogna sempre porre attenzione ad accessi, criptazione dei dati e aggiornamenti per ridurre al minimo i rischi.

Sono tutti argomenti su cui c’è ancora poca consapevolezza, soprattutto nelle PMI, che sono poi l’ambito dove oggi, e ancora di più nel prossimo futuro, l’introduzione dell’IoT potrà fare la differenza in termini di competitività. Si parla molto di smart factory e di Industria 4.0 ed è determinante per le piccole e medie imprese italiane entrare in questo mondo. Ma per coglierne i vantaggi è fondamentale cominciare con l’approccio giusto, quello che riconosce il valore del dato e l’importanza della sua protezione.

@Redazione AZ Franchising

Normativa sul franchising, utile ma incompleta

Le informazioni precontrattuali sono al centro di dibattito di  numerose sentenze del Tribunale.

La Legge del 6 maggio 2004, la n.129 che regolamenta il franchising, è una legge dal testo scorrevole e semplice, ma presenta carenze molto importanti. Seppur ne consegua una facile applicazione ciò non sempre corrisponde alla realtà operativa, sempre più spesso sono i Tribunali a dover intervenire in contenziosi tra le due parti contrattuali.

di  Mirco Comparini – Commercialista e Revisore Legale

Nonostante le ormai ben note resistenze alla proposta di riforma della normativa giunta al settore alcuni anni fa, continuano ad arrivare sentenze di tribunali del tutto in linea con i contenuti di tale “bloccata” proposta di riforma. E’ il caso della Sentenza del 05.02.2018 del Tribunale di Trani che, oltre a replicare i contenuti delle importanti sentenze del Tribunale di Trento (n.1918/2010 e n.1919/2010), confermate dal Consiglio di Stato (già commentate dalle colonne di AZ Franchising), rafforza e fornisce ulteriori conferme delle lacune che la norma sta esprimendo da moltissimo tempo nel disinteresse sostanziale di chi dichiara di voler tutelare il settore.

Anche nel caso trattato dal Tribunale di Trani, il tema sono ancora le informazioni precontrattuali. Più volte abbiamo posto in evidenza come la Legge del 6 maggio 2004, la n.129 che regolamenta il franchising, sia una legge dal testo scorrevole e semplice, ma presenta carenze molto importanti. Seppur si possa ritenere che da questa struttura sintetica ne consegua una facile applicazione per la maggior parte del dettato normativo, ciò non sempre corrisponde alla realtà operativa e, come ormai sembra consolidarsi, così come i propositori della riforma hanno sempre cercato di porre in evidenza, sempre più spesso sono i Tribunali a dover intervenire in contenziosi tra le due parti contrattuali.

Infatti, pur essendo entrambe le parti (affiliante e aspirante affiliato) ad essere interessate da una serie di obblighi specifici, anche di carattere comportamentale, in tema di dati, notizie e informazioni, è ovvio che per l’affiliante sussistano obblighi aggiuntivi.

In particolare, il riferimento più corposo, oggetto di intervento del Tribunale di Trani, è l’articolo 4, comma 1, un vero e proprio elenco prescrittivo da concretizzarsi in allegati al contratto per la preventiva lettura. Si tratta di un elenco “minimo”, ma non quello “necessario” per una efficace valutazione e, soprattutto, si tratta di un elenco per la cui consegna la norma non indica alcuna forma o modalità. Come già accennato, il Tribunale di Trani conferma che, nella fase applicazione dell’articolo 4, l’affiliante:

–        deve consegnare materialmente al potenziale affiliato le informazioni previste;

–        deve dare prova della consegna;

–        non deve considerare sufficiente la presenza nel contratto di clausole precostituite e prestampate, seppur sottoscritte, aventi un contenuto “dichiarativo” di ricevuta consegna delle informazioni;

–        non deve considerarsi assolto il dovere di informazione precontrattuale con la consegna di materiale informativo generico tipicamente distribuito in modo indifferenziato ai richiedenti informazioni generiche.

In pratica, riprendendo le sentenze di Trento, l’adempimento di un obbligo informativo in un settore negoziale ad alto contenuto tecnico, come il contratto di franchising, “non può mai essere dimostrato mediante la sottoscrizione di dichiarazioni generiche, unilateralmente predeterminate e predisposte in via generale, essendo necessaria l’allegazione e la prova del contenuto e delle concrete modalità di messa a disposizione dell’affiliato della documentazione dettagliatamente elencata nel citato articolo 4, L.129/2004, in relazione alla quale vi è l’obbligo di preventiva consegna”. Pena la nullità del contratto.

Il Tribunale di Trani aggiunge ulteriori e importantissimi principi ai quali l’affiliante deve attenersi. Vediamo i punti:

  1. il primo punto di grandissima portata è dato dalla precisazione con la quale il Tribunale ha specificato che l’affiliante è non solo obbligato a consegnare al potenziale affiliato una copia completa del contratto, come riporta la norma, ma tale copia deve essere identica a quella che le parti andranno a sottoscrivere in caso di accordo e, pertanto, non può essere un fac-simile;
  2. a ciò occorre aggiungere che con il termine “completa” si debba considerare che la copia identica sia completata anche da tutti gli allegati che il contratto da sottoscrivere conterrà;
  3. eccezione al punto 2, nel pieno rispetto di quanto prevede la norma, è la concessione per l’affiliante di poter omettere la consegna dei soli allegati che, per motivi di riservatezza effettivamente meritevoli di tutela, consideri opportuno non divulgare nella fase precontrattuale, ferma restando la citazione nel contratto.

E’ sulla base dell’attuazione di queste modalità che l’affiliato potrà esaminare tutte quelle informazioni che gli consentano di avere una visione reale dell’affiliante oggetto di interesse valutandolo nella consistenza e nelle caratteristiche dell’attività oggetto del sistema di franchising.

In conclusione, l’omesso o l’incompleto adempimento degli obblighi di informativa precontrattuale è da considerare un’ipotesi di inadempimento contrattuale dell’affiliante generando una risoluzione del contratto con possibilità, da parte dell’affiliato, di chiedere il risarcimento del danno.

La portata di quest’ultima sentenza, che integra le precedenti citate e altre non citate, non è certamente da trascurare. La presenza di un obbligo normativo a carico del franchisor a fornire le informazioni precontrattuali in forma scritta, con idonea documentazione e idonea prova di consegna e ricezione, avrebbe certamente evitato il contenzioso in questione con notevoli risparmi per le aziende contendenti e risparmi per le casse dello Stato, avrebbe fornito certezza alle parti su ciò che costituiva dovere e diritto, avrebbe evitato la presenza di franchisor più “fumosi” ma rispettosi dell’attuale legge, ecc., ecc..

L’assenza di una tale disposizione lascia ampi spazi a disposizione di chi potrà farla franca per vari motivi.

Insomma, le sentenze mettono in clamorosa evidenza che la mancanza di una regolamentazione che dia certezza e sicurezza alle due parti contrattuali alza il rischio che siano proprio le prestazioni professionali di avvocati e i conseguenti giudizi dei Tribunali a dovere lentamente portare a far sapere non come debba essere attuata una normativa, quella sul franchising, utile ma incompleta, ma come non cadere proprio nelle “trappole” contenute dalla normativa con le sue carenze.

Non si tratta di giudizi e valutazioni soggettive, ma solo oggettive e l’oggettività giunge proprio da queste ed altre sentenze che non fanno altro che certificare l’infondatezza di chi sostiene che la normativa italiana sul franchising stia ben funzionando e non necessiti di un aggiornamento indirizzato a tutelare maggiormente franchisor e franchisee e, quindi, il settore, unici obiettivi degni di attenzione. Non solo, smentisce clamorosamente tutti coloro che continuano a sostenere che il contenzioso nel settore è diminuito, considerando, ad esempio, che il dato della mediazione-conciliazione non lo si saprà mai.

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Ristorazione in franchising: come funziona

La varietà di offerte nella ristorazione è infinita, e di conseguenza sono numerosissime le tipologie di franchising sul mercato.

Sono però tutte accumunate da un punto: che si propongano pizza o sushi, caffè o pasta, ramen tapas o hamburger, la ristorazione è difficile. Per questo, essendo un settore difficile, affinché il Franchising della ristorazione abbia successo occorre un connubio vincente, una perfetta sintonia tra Franchisor e Franchisee.

I Franchisor che devono essere di una professionalità ai più alti livelli, mentre i Franchisee, dopo essere stati opportunamente formati, devono operare con disciplina nel massimo rispetto del know del Franchisor, da questo costantemente supportati. Certo, i Franchisee magari possono impreziosire ed arricchire il know how del Franchisor, ma sempre portando proposte condivise con il Franchisor, è questo che “guida”.

L’importanza nella ricerca del giusto franchisor

Oltre alle note che riguardano qualunque settore (una proven success story, know how, solidità, supporto su Formazione, Marketing, IT, etc..) nella ristorazione è importante un supporto continuo e costante sul Field e che questo debba essere coerente con i flussi di lavoro. In parole più semplici, se nella ristorazione si arriva a fatturare anche il 50% del totale settimanale tra il venerdì sera ed il week end, è soprattutto in quei momenti che il supporto operativo del Franchisor deve sempre essere disponibile al fianco del Franchisee.

I Franchisee saranno allora diversi tra loro perché diversi sono i format, in una moltitudine di Brand in cui si spazia da locali di pochi metri quadrati e quindi poco personale ai colossi made in USA i cui locali possono avere superfici di centinaia di metri quadrati e con staff di decine di dipendenti. Ciò che li accomuna è un punto, il più delicato di tutti: le Operations.

Oggi, quindi, i Franchisor cercano bravi Franchisee che non solo siano finanziariamente solidi, che siano leader, che mettano la customer satisfaction al centro del loro operato, ma anche – punto delicato – che siano attenti, o in prima persona, o attraverso la loro squadra, al perfetto funzionamento delle Operations. E quindi rispettosi delle procedure, cioè del know how, del Franchisor.

Come aprire un franchising nella ristorazione….

@Redazione AZ Franchising

 

Le promozioni su Facebook geolocalizzate

Promozioni su facebook: è necessario fare molta attenzione sul contenuto della comunicazione e alle regole restrittive che il social impone.

Per essere efficaci attenzione a: testo sull’immagine, ai video, anticipatevi per l’approvazione e sfruttate la possibilità di revisione.

di Mattia Nicoletti*

“Adesso che abbiamo aperto il nostro nuovo negozio possiamo partire con la distribuzione di volantini”. Questa fino a quel tempo fa, ma in molti casi ancora oggi, era la modalità più semplice e diretta per comunicare nella zona di riferimento l’apertura di un nuovo punto vendita. Con l’avvento dei social media e la possibilità di fare promozioni su Facebook geolocalizzate con apparente facilità, molte persone decidono di investire parte del budget su questo tipo di comunicazione. Tuttavia, tralasciando alcuni aspetti sul processo da affrontare per realizzare una promo su Facebook di cui abbiamo scritto numerose volte, è necessario fare molta attenzione sul contenuto della comunicazione. E non ci riferiamo alle sole regole di comunicazione ma alle regole restrittive che Facebook impone. Dopo il caso Cambridge Analytica, l’azienda guidata da Zuckerberg ha infatti “stretto le maglie” sulle promozioni dettando alcune regole che chi non fa spesso pubblicità su Facebook non può conoscere (molte di queste regole si apprendono infatti solo con l’esperienza). Ecco alcuni accorgimenti da utilizzare per far sì che la promozione vada a buon fine.

Il testo sull’immagine
Una delle grandi tentazioni per chi fa promozioni su Facebook è quella di utilizzare immagini e video con molto testo per fornire ogni tipo di informazione per il possibile consumatore. Dalla descrizione del prodotto/servizio al prezzo, senza tenere conto che Facebook penalizza la visibilità quando il testo supera il 20-30% dell’immagine. Penalizzazione significa che il numero di persone che si potrebbero raggiungere (nel caso di obiettivo copertura) può essere notevolmente più basso al termine della promozione. E’ quindi fondamentale inserire nell’immagine solo l’informazione più importante (che in ogni caso la rende anche più immediata.

Attenzione alle immagini e ai video
L’algoritmo di Facebook che analizza le promozioni, analizza anche le immagini per evitare che si promuova qualcosa di illecito o comunque vietato. C’è il rischio ad esempio che se si vuole fare una pubblicità di intimo Facebook notifichi che la promozione non può essere accettata per il troppo elevato quantitativo di pelle mostrato nell’immagine o nel video. Ed è assolutamente possibile che Facebook non notifichi nulla se l’immagine/video è semplicemente postata ma non messa in promo.

Anticipate la promozione

Poiché la promozione di frequente viene avviata nei tempi in cui vorremmo che fosse vista dal target di riferimento, spesso si dimenticano due cose. La prima è che per approvare una promozione spesso ci vogliono diverse ore (quindi se fate una promozione alle 8 del mattino può essere che venga avviata alle 12), la seconda è che se non viene approvata dovete cambiarla o chiedere la revisione (nel punto successivo approfondiamo questo argomento) con una conseguente ulteriore perdita di tempo. Una soluzione può essere quella di anticipare di un giorno il post e programmare la promozione con la partenza stabilita in origine. Così avrete più tempo per gestire gli eventuali problemi.

Sfruttate la possibilità di revisione

Quando Facebook non approva un contenuto in promozione, le possibilità sono due. O cambiate il contenuto oppure, se ritenete che il contenuto non abbia ragione di essere bloccato, chiedete la revisione manuale. Quando la chiedete, Facebook vi chiede di motivare la ragione per cui ritenete che sia un errore bloccare la promozione. La revisione manuale può richiedere fino a 24 ore di tempo

Non perdetevi d’animo

Può accadere che una promozione non venga approvata e che, nonostante le spiegazioni, di frequente criptiche, di Facebook, non si capisca la reale ragione del blocco. Se anche dopo la revisione manuale Facebook la respinge nuovamente, provate a cambiare il contenuto. Ad ogni buon conto solo con l’esperienza si può prevedere se un contenuto può essere a rischio, quindi non prendetevela con l’ottusità dell’algoritmo ma cercate di superarlo con la vostra intelligenza.

*Creative marketing strategist and producer – Dreamcatchers Entertainment

Franchise Expo Paris 2020: Un grande Salone alle porte!

Dal 22 al 25 marzo 2020, Paris Expo Porte de Versailles.

Franchise Expo Paris si posiziona come una vera e propria piattaforma internazionale del franchising e riflette la propensione delle reti all’internazionalizzazione.

Ogni anno, numerose persone con i profili più svariati di lanciano nell’imprenditoria grazie al franchising. Per scoprire questo modello dinamico e virtuoso, la 39ma edizione di Franchise Expo Paris aprirà le porte dal 22 al 25 marzo prossimo.
Organizzato dalla Federazione francese del franchising e da Reed Expositions France, questo salone, vero generatore di business, raggruppa tutti gli attori del mercato e sviluppa nuove vocazioni e & colpi di fulmine professionali.

IL PUNTO DI PARTENZA PER LA CRESCITA DELLA VOSTRA RETE

572 Espositori e 500 marchi
155 Insegne internazionali
61 Partner Media e Istituzionali
90 Settori commerciali rappresentati
100 Conferenze e Ateliers

L’articolo completo nell’ultimo numero di AZ Franchising

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GREEN JOBS: OCCUPAZIONE E INNOVAZIONE

Nel 2018 il numero dei green jobs in Italia ha superato la soglia dei 3 milioni: 3.100.000 unità, il 13,4% del totale dell’occupazione complessiva (nel 2017 era il 13,0%).

L’occupazione green nel 2018 è cresciuta rispetto al 2017 di oltre 100 mila unità, con un incremento del +3,4% rispetto al +0,5% delle altre figure professionali.

La green economy è anche una questione anagrafica. Una importante spinta al nostro sistema manifatturiero verso la sostenibilità ambientale, infatti, è impressa dai giovani imprenditori: tra le imprese guidate da under 35, il 47% ha fatto eco-investimenti, contro il 23 delle over 35. Green economy significa anche cura sociale: il 56% delle imprese green sono imprese coesive, che investono cioè nel benessere economico e sociale dei propri lavoratori e della comunità di appartenenza relazionandosi con gli attori del territorio (altre imprese, stakeholder, organizzazioni non profit, ecc.); tra le imprese che non fanno investimenti green, invece, le coesive sono il 48%.

Leadership europea nelle performance ambientali. Le imprese di GreenItaly, incluse le PMI, hanno spinto l’intero sistema produttivo nazionale e il Paese verso una leadership europea nelle performance ambientali.

Queste oltre 430 mila imprese hanno dato all’Italia una leadership nella sostenibilità che possiamo misurare constatando che il nostro sistema industriale, con 14,8 tonnellate equivalenti di petrolio per milione di euro prodotto, è il secondo tra quelli dei grandi UE per input energetici per unità di prodotto: dietro alla Gran Bretagna (13,7, che ha però un’economia guidata dalla finanza) ma davanti a Francia (15,6), Spagna (17,3) e Germania (17,8). Stesso discorso per gli input di materia: con 285,9 tonnellate per milione di euro prodotto siamo dietro alla Gran Bretagna (240,1) ma davanti a Francia (340,5), Spagna (355,3) e Germania (399,1). Siamo i più efficienti nella riduzione di rifiuti: le nostre imprese ne producono 43,2 tonnellate per milione di euro, quelle spagnole 54,7, quelle britanniche 63,7, le tedesche 67,4 e le francesi 77,4. Oltre ai rifiuti le emissioni climalteranti: con 97,3 tonnellate di CO₂ equivalenti ogni milione di euro, fanno meglio di noi Francia (80,9, forte del nucleare) e Regno unito (95,1) mentre distanziamo Spagna (125,5) e soprattutto Germania (127,8). L’attenzione delle imprese all’ambiente si legge anche nella crescita dei brevetti green in Italia: complessivamente 3.500 (10% dei brevetti europei).

Con un aumento del 22% nel periodo 2006-2015, e una dinamica in controtendenza rispetto ai brevetti in generale. L’Italia è il terzo Paese al mondo, dopo Cina e Giappone e davanti a Spagna, Germania, Francia ma anche Usa, per numero di certificazioni ISO 14001.

@Redazione AZ Franchising