Giovani e franchising: l’occasione di una vita

Il lavoro cambia rapidamente in funzione del progresso tecnologico e scientifico. Molte attività nei prossimi anni spariranno, altre prenderanno il loro posto, proprio grazie alle tecnologie.

Per fortuna, la mentalità dei giovani, anche per merito dei cosiddetti nativi digitali, sta cambiando. Da questi ultimi, soprattutto, arrivano idee nuove, maggiore spirito d’iniziativa, creatività, curiosità e ambizione. Questo atteggiamento li porta a scelte drastiche, come andarsene all’estero.

Molti di loro si orientano sempre di più verso attività autonome, in cui possano essere finalmente padroni della propria vita.

In Italia è carente una cultura d’impresa

In Italia non c’è mai stata una seria cultura d’impresa. Creare un’impresa è possibile per chiunque abbia un’idea valida, un certo spirito innovativo e la necessaria determinazione. 

La mentalità imprenditoriale è un atteggiamento, un approccio al pensiero finalizzato all’innovazione, che sa porsi domande critiche, che persegue un miglioramento continuo, che sa operare con agilità, senza autocompiacimento ma con orgoglio e senso di responsabilità, e che è in grado di affrontare i rischi e anche eventuali fallimenti.

Il fenomeno delle start up

Lo spirito imprenditoriale, che poi si traduce nel desiderio di mettersi in proprio, trova il modo di svilupparsi nonostante le prime difficoltà organizzative. Ne è una evidente testimonianza l’aumento delle start up. Ma anche in questo ambito non sono tutte rose e fiori. Queste imprese, infatti – al di fuori del contingente problema della pandemia – registrano un elevatissimo tasso di mortalità (su 100 solo 8 sopravvivono al fallimento).

Molto meglio funzionano le start up innovative, ma si tratta di un settore di nicchia con imprese ad alto contenuto tecnologico, quindi riservate a specifici ambiti e professionalità. 

Qui, il tasso di mortalità è molto inferiore, ma occorre tenere conto che sono favorite da particolari aiuti economici previsti dallo Stato (finanziamenti agevolati) e supportate da numerose iniziative.

Gli aiuti dall’Europa

Next Generation EU, che viene semplificato con il termine Recovery Plan, è un fondo per il sostegno finanziario degli stati membri dell’Unione Europea colpiti dalla pandemia ma nel suo titolo porta chiaramente l’indicazione che le politiche da adottare dovrebbero rivolgersi soprattutto  alle prossime generazioni.

Pochi Paesi hanno bisogno quanto l’Italia di nuove opportunità di occupazione, crescita, e innovazione del sistema. Tutti elementi fortemente legati alla nascita di nuove imprese. Ma fino a quando gli incentivi impliciti nel sistema favoriranno le rendite di posizione e certi privilegi accumulati in passato, sarà difficile riuscirci.

Franchising: una soluzione win/win

Secondo gli esperti, il franchising è destinato ad essere uno dei motori propulsivi più importanti per superare la crisi post pandemia. E questa considerazione vale indistintamente per i franchisor e per i franchisee.

Il rapporto di partnership tra le due parti in gioco è un modello vincente perché consente di far convivere l’organizzazione aziendale delle grandi imprese, che possono sviluppare e tutelare il proprio brand, la propria cultura d’impresa, la propria etica, avvalendosi della flessibilità e delle capillarità delle microimprese franchisee.

Quindi, gli imprenditori che sono pronti per la ripresa, hanno la possibilità di sviluppare la propria attività attraverso la carta vincente del franchising, condividendo la propria esperienza e il proprio modello di business con chiunque desideri aprire un punto vendita affiliato, creando indirettamente nuovi posti di lavoro.

Un modello di business collaudato

La proposta di affiliazione, oltre ad assicurare un modello di business collaudato, permette ai franchisee di iniziare una attività imprenditoriale richiedendo un investimento modesto, a fronte di un livello di rischio molto contenuto, avendo alle spalle un franchisor che ha già sperimentato con successo il proprio business concept nel mercato. 

Il franchisee, anche quello meno esperto, potrà quindi acquisire un know-how importante, sfruttare i benefici derivanti dalle economie di scala, usufruire di promozioni e pubblicità da parte della casa madre e una assistenza manageriale e amministrativa, che si articola nel tempo anche attraverso corsi di aggiornamento e formazione.   

L’irresistibile ascesa del franchising tra i giovani

Il franchising è un settore in netta crescita perché, come abbiamo detto, utilizza un sistema vincente. Questo vale anche per le imprese che già operano sul mercato con un marchio conosciuto.

In questo modo, infatti, è data loro la possibilità di sviluppare la propria attività, sfruttando il trend di ripresa che già si intravede, espandendosi sul mercato con sicurezza, creando propri format di franchising, rapidamente e a costi molto più ridotti che se decidessero di aprire proprie filiali. 

Questo modello di business win/win aiuta quindi l’occupazione e l’imprenditoria, e si rivolge a tutti, ma in particolare ai giovani, delusi di non riuscire a trovare un’occupazione adeguata e intenzionati a mettersi alla prova come imprenditori. 

Un dato, per finire, a conferma di questa tendenza. Secondo un recente rapporto di Assofranchising, quasi il 90% dei franchisee ha un’età compresa tra i 25 e i 45 anni ed uno su quattro ha un’età compresa tra i 25 e i 35 anni. Allora, cosa aspettano i giovani?

La trasformazione digitale: uno dei principali obiettivi di business

“Il centro commerciale dovrà avere alla base un modello di innovazione aperto, forte della partnership e della condivisione di valore tra tutti gli attori in gioco: proprietà, retailer, gestori, clienti”

Trasformazione digitale, un termine oramai entrato nel vocabolario quotidiano di moltissimi brand e di moltissime aziende come uno dei principali obiettivi di business, soprattutto dopo la pandemia che ha di fatto accelerato il passaggio ad un’abitudine di consumo e di fruizione del prodotto in modo nuovo, secondo dinamiche che si stavano progressivamente affermando, e che gli esempi esteri testimoniavano già da tempo.

Più che di trasformazione, preferisco parlare di integrazione digitale, processo da cui non si può più prescindere: il digitale è a tutti gli effetti un abilitatore a favore del fisico, all’interno di un processo di acquisto sempre più complesso e integrato fra i vari canali che il consumatore ha a disposizione. Il cliente è oramai a tutti gli effetti un consumatore “omnicanale” e tale processo difficilmente sarà reversibile; quello che potrà davvero fare la differenza sarà la logica del servizio, l’esperienza che sarò in grado di dare al mio consumatore che di fatto può avere accesso a quel prodotto in maniera facile e da diversi punti di contatto.

Fisico e digitale come possono integrarsi? Perché il consumatore dovrebbe venire da me per comprare un prodotto facilmente reperibile ovunque e in maniera estremamente veloce? Che cosa mi offre in più quel determinato spazio fisico? Come posso colmare il gap fra centro commerciale e commercio online? Che ruolo può avere il centro commerciale nell’ambito della trasformazione digitale in quanto mero contenitore di prodotti e di servizi?

Francesca Pinzone, Head of Marketing Department di Svicom

“Sono questi i principali quesiti su cui i centri commerciali hanno cominciato ad interrogarsi e che noi di Svicom abbiamo già da tempo cercato di risolvere identificando soluzioni atte ad integrare progressivamente la tecnologia nei vari processi del business aziendale.

 Il negozio diventa il culmine di un processo relazionale con il brand che parte molto prima e molto più complesso, che porta le persone a effettuare ricerche sui prodotti ancora prima di recarsi sul punto vendita e che nel punto vendita si aspettano qualcosa di differenziante che abbia un ruolo importante sulla sfera dell’emozione e vivere un’esperienza che soltanto il fisico sarà in grado di dare e che non potrà mai essere soppiantata dal digitale.

Potrei citare vari esempi, sebbene vorrei concentrarmi su un progetto innovativo che mi sta particolarmente a cuore frutto di un’osservazione attenta delle dinamiche del mercato e dei cambiamenti in atto, della conoscenza del consumatore, ma soprattutto di brainstorming interno fra i vari stakeholders coinvolti.

The Place To Do è la nostra experience platform che dall’estate 2021 sarà lanciata in alcune delle nostre strutture; il cliente potrà scegliere iniziative, eventi, corsi ed attività da sperimentare sul centro o on demand, con la famiglia, da solo, con gli amici. Si introduce così il concetto della “personalizzazione” di contenuti del centro commerciale, rivedendo quindi nelle fondamenta il paradigma classico di eventi ed esperienze generalisti nei centri commerciali.

Il marketing dell’era digitale ci sta insegnando che un retailer o un centro commerciale potrà essere più competitivo adottando due strategie non escludenti: la collaborazione con i propri clienti (co-creazione) e il dialogo con altre imprese, in certi casi anche concorrenti (coopetizione). Il centro commerciale dovrà avere alla base un modello di innovazione aperto, forte della partnership e della condivisione di valore tra tutti gli attori in gioco: proprietà, retailer, gestori, clienti”.

Non solo numeri: come è cambiato il rapporto con i brand?

L’indagine di OpenText evidenzia il ruolo cruciale della Digital Experience dopo la pandemia

Una nuova ricerca di OpenText – leader nelle soluzioni e software di Enterprise Information Management, svela in quale misura la pandemia abbia cambiato il rapporto dei consumatori con i brand, evidenziando la crescente importanza assunta da un’esperienza digitale semplificata nell’era Post COVID-19.

Gli italiani si sono rivelati i più attenti alla relazione con i brand: ben 7 su 10 (70%), infatti, si dichiarano più propensi ad acquistare da quei marchi che si rivolgono loro trattandoli come veri e propri individui, piuttosto che come clienti qualsiasi.

Inoltre, più della metà degli intervistati (53%) acquista solo da brand che dimostrano di comprendere le loro esigenze e preferenze, ad esempio, comunicando attraverso i loro canali favoriti o proponendo offerte personalizzate.

La centralità della Customer Experience

Quasi 3 italiani su 4 (74%) tendono a non fare nuovi acquisti da un marchio con cui hanno avuto una cattiva esperienza. Il 65%, infatti, non crede più che al giorno d’oggi si possa essere “clienti per la vita”: proprio per questo, i brand non possono più fare affidamento sulla fedeltà dei clienti per riconquistarne la fiducia a seguito di episodi negativi.

Creare esperienze fluide è la chiave per la soddisfazione delle persone. Quando acquistano prodotti o servizi online, quasi 8 consumatori italiani su 10 (79%) ritengono che poter effettuare la ricerca in modo semplice sia molto importante.

“La crisi conseguente alla pandemia da COVID-19 ha accelerato l’adozione del digitale in tutti i settori, portando le aziende a dover cambiare il proprio modo di comunicare con i clienti”, dichiara Antonio Matera, Regional Vice President Italy, Malta, Greece & Cyprus di OpenText. “Di conseguenza, anche le aspettative dei consumatori sono cambiate. Ora chiedono di più ai brand: più canali di comunicazione, più personalizzazione e, soprattutto, un’esperienza digitale continua e connessa. La capacità di fornire comunicazioni ricche e ultra-personalizzate su scala, attraverso tutti i canali e i punti di contatto, è diventata fondamentale per acquisire, aumentare e mantenere la base clienti”.

L’importanza del Digitale in un mondo post-COVID

Per il 65% dei consumatori italiani, la pandemia ha cambiato le aspettative su ciò che l’offerta digitale di un marchio dovrebbe includere.

Oltre la metà degli intervistati (54,5%) ora si sente più a suo agio con aziende che operano in maniera esclusivamente digitale, tanto che un quarto di loro (25%) non si rivolgerà più a quelle realtà che non sono state in grado di fornire esperienze di acquisto online di livello. Inoltre, per quasi 6 consumatori italiani su 10 (58%), un’esperienza digitale personalizzata è diventata essenziale per continuare a scegliere un determinato brand.

Antonio Matera
Regional Vice President Italy Malta Greece Cyprus

Creare una customer experience positiva significa eliminare ogni attrito e aumentare la rilevanza del brand: più è semplice fare una cosa e più diventa rilevante per i clienti”, conclude Matera. “Oggi le persone si aspettano che la propria esperienza, dalla ricerca dei prodotti al monitoraggio degli ordini, possa passare senza difficoltà da una piattaforma digitale all’altra, mantenendo la personalizzazione, su qualsiasi dispositivo e in qualsiasi momento. Per i brand, questo significa investire in soluzioni digitali che consentano di integrare dati, informazioni e risorse in modo fluido e in diversi contesti. In mancanza di ciò, avranno difficoltà a creare e offrire quelle esperienze coerenti e personalizzate necessarie per conquistare e mantenere i clienti”.

Marchio comunitario e marchio internazionale: cosa sono

Articolo tratto da AZ Franchising magazine – luglio agosto 2021 a cura di Avv. Patricia de Masi Taddei Vasoli – dMTV LEX

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I marchi sia comunitari che internazionali, sono una entità capace di caratterizzare un’impresa e/o un suo prodotto, rispetto ad altri presenti sul mercato. La registrazione garantisce una protezione nell’intero territorio di riferimento ed una tutela in caso di conflitti legati all’effettiva titolarità del diritto di privativa.

La differenza tra marchio comunitario ed internazionale

La registrazione comunitaria tutela il marchio su tutto il territorio dell’Unione Europea, compresi i Paesi che dovessero entrare a farvi parte in futuro.

 Il marchio comunitario ha una validità di dieci anni dalla data di deposito della domanda e può essere rinnovato per ulteriori periodi di dieci anni.
Il titolare di un marchio comunitario può tuttavia decadere dai suoi diritti, qualora manchi un uso serio ed effettivo del marchio stesso all’interno del territorio dell’Unione, entro cinque anni dalla data di registrazione. 

I vantaggi del marchio comunitario consistono essenzialmente nella procedura unificata di deposito e nella convenienza quanto ai costi di deposito (inferiori rispetto a quelli che sarebbero necessari per la protezione del marchio in tutti i Paesi membri, attraverso singoli depositi nazionali) nonché nel fatto che l’uso del marchio, anche in un solo Paese dell’Unione Europea, purché rilevante per territorio e popolazione, è considerato idoneo a evitarne la decadenza in tutto il territorio dell’Unione. Per contro, un limite importante del marchio comunitario è altresì diretta conseguenza del suo carattere unitario: un’eventuale contestazione alla validità del marchio, anche in uno solo dei Paesi membri, se ritenuta fondata, porta infatti al conseguente rifiuto del marchio comunitario nel suo complesso. 

I marchi nazionali anteriori possono costituire diritti anteriori rispetto a un marchio comunitario e viceversa: l’ufficio non esamina ex officio tali diritti anteriori ma sarà il titolare del diritto anteriore a dover sollevare la questione, presentando un’opposizione entro tre mesi dalla pubblicazione della domanda del marchio comunitario oppure depositando una domanda di dichiarazione di nullità basata su cause relative di nullità. 

Il marchio internazionale

I titolari di un marchio italiano o comunitario, registrati o allo stato di domanda, possono estenderne la tutela nel territorio di uno o più Paesi europei ed extraeuropei appartenenti alla cosiddetta Unione di Madrid, costituita dai Paesi aderenti alla convenzione in base a due trattati (l’Accordo e il Protocollo di Madrid), presentando un’unica domanda di registrazione internazionale del marchio, secondo la procedura amministrata dall’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale di Ginevra (OMPI o WIPO).

Il marchio internazionale ha una validità di dieci anni decorrenti dalla data di concessione e può essere rinnovato per periodi decennali. La domanda di registrazione o di rinnovo di un marchio internazionale, a differenza di quanto previsto per il marchio comunitario, può essere depositata presso le Camere di commercio oppure direttamente presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi a mezzo raccomandata a/r; l’unica modalità di deposito attualmente esistente per il marchio internazionale è quella cartacea, utilizzando l’apposita modulistica disponibile sul sito dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale di Ginevra. L’UIBM trasmette quindi la domanda a tale Organizzazione che provvede all’esame formale. L’esame sostanziale del marchio spetta invece agli Uffici marchi dei singoli Paesi designati, in conformità alle rispettive normative nazionali. 

È importare ricordare che è prevista la possibilità di effettuare un’estensione territoriale posteriore, al fine cioè di estendere il marchio internazionale, in un secondo tempo, ad altri Paesi non designati nella prima domanda di deposito internazionale: in tal caso, però, la durata della protezione di un’estensione posteriore viene fatta coincidere con la durata della protezione del primo deposito internazionale, in modo da avere un’unica data di scadenza del marchio internazionale. 

L’estinzione può avvenire per tali ragioni:

  • in seguito all’accertamento di vizi che ne determinano la nullità;
  • per decadenza a causa della sua c.d. “volgarizzazione” per perdita della sua capacità distintiva (pensiamo al marchio Biro per penne a sfera o Rimmel per il mascara o Scoch per il nastro adesivo;
  • per illiceità sopravvenuta per sopravvenuta capacità di ingannare il pubblico, soprattutto sulla provenienza dei prodotti o sulle loro qualità;
  • per non uso effettivo.

L’editoriale di AZ Franchising del numero di luglio e agosto 2021

“Ogni giorno, quello che scegli, quello che pensi e quello che fai è ciò che diventi.”

Eraclito

 

La riapertura e la ripresa di tutte le attività ci restituisce il nostro lavoro. Il retail era in grande evoluzione già da prima della pandemia ma adesso più velocemente è necessario intercettare le novità, i format, i brand che meglio interpretano il mondo del commercio ai nostri giorni. I servizi sono sempre più centrali. Il cliente è più esigente e chiede di più rispetto al passato. Questo perché avverte un pericolo per la sua salute, al centro dell’attenzione di questo periodo, ed è in cerca sempre di più della sua sicurezza. Uno dei luoghi destinati al commercio che ha avvertito questa esigenza di cambiamento è sicuramente il Centro Commerciale. Infatti dopo la riapertura, post pandemia, si è avuta la necessità di attuazione di strategie e azioni sempre più orientate alla responsabilità sociale e ambientale, del benessere e della salute. L’apertura, in circa 25 centri commerciali, su tutto il territorio nazionale, di hub vaccinali e il positivo riscontro da parte dei clienti che hanno usufruito di questo servizio è stata la riprova di quanto l’offerta di questo genere di assistenza di prossimità sia apprezzata dalle persone. In questo numero di AZ Franchising abbiamo raccolto le testimonianze di protagonisti autorevoli del settore. E a unanime sono tutti d’accordo su un punto: l’aumento dei servizi sarà centrale per il futuro degli spazi commerciali. E siamo d’accordo anche noi quindi non solo consumo, ma anche attenzione a tutte le nuove esigenze “sociali” che la pandemia ha fatto occupare un posto in alto nelle aspettative dei clienti. Questo conferisce agli attori del mercato e a noi che quel mercato lo seguiamo e lo raccontiamo una grande responsabilità a fare sempre di più, nell’ottica del cliente e del consumatore, e a fare meglio. Perché la centralità è il benessere del cittadino, del consumatore. In tutto questo l’offerta merceologica da sola non basterebbe a spiegare l’interesse della gente per queste realtà quindi diventa prioritario, oggi, ampliare il segmento dei servizi alla persona: centri fitness, presidi sanitari, poliambulatori per i controlli della salute, insomma il ventaglio è ampio. Un ruolo molto importante è rappresentato dalla tecnologia, dall’accelerazione della digital transformation in virtù delle nuove esigenze. E’ possibile, quindi, immaginare gli spazi commerciali del futuro, dove il futuro è già presente, come una micro-città iperconnessa, guidata dall’interazione tra le persone per le shopping destination, ma anche per usufruire di servizi legati alla sicurezza e alla salute. Le nuove tecnologie si fonderanno con la tradizione, con la possibilità di trovare altri spazi differenti ad esempio aree di coworking. Come si fa per realizzare tutto questo sicuri del succeso? Da qui l’esigenza per tutti di conoscere bene e profilare il proprio cliente. Di condividere le ragioni delle proprie scelte, con. A fare bene le cose, dopo averle ben scelte e pensate.  Questa diventa una filosofia aziendale che ci aiuta a essere migliori per noi e per gli altri. 

 

Fabio Pasquali

L’evento digitale come leva di marketing

Di Stefania Giuseppetti

Gli eventi hanno da sempre costituito momenti di grande interesse e coinvolgimento, caratterizzando la nostra storia e la nostra evoluzione.

Il fenomeno che essi rappresentano ha assunto una dimensione sempre più rilevante, fino ad arrivare ad essere utilizzato come leva di marketing. 

Nelle loro molteplici varianti – istituzionali o di prodotto, esclusivi o di massa, culturali o per il business – gli eventi rappresentano lo strumento di comunicazione che meglio si adatta alle esigenze di imprese ed enti che intendono lanciare un nuovo prodotto, promuovere un servizio o un’idea, per trasformare i valori e l’immagine in una User Experience concreta e indimenticabile.

NUOVE SOLUZIONI, NUOVI LUOGHI E NUOVI SPAZI D’INCONTRO

Il 2020, caratterizzato dalla pandemia, ha sconvolto tutto ciò che davamo per scontato: ha cambiato il modo in cui viviamo, lavoriamo, impariamo, facciamo acquisti e giochiamo; ha cambiato il come e il dove sperimentiamo le cose e ci ha costretto a ricorrere a nuove soluzioni, nuovi luoghi e nuovi spazi d’incontro e, soprattutto, nuove esperienze.

Pertanto, le aziende e i brand hanno dovuto fare i conti con un panorama sociale profondamente mutato, che ha riscritto le regole e il modo di vivere le abitudini del consumatore.

Con l’obbligo del distanziamento sociale, dell’isolamento e la conseguente sospensione delle normali attività, anche l’approccio agli eventi ha subito mutazioni radicali, che hanno dato inizio ad una nuova era, fatta di esperienze virtuali e ibride.

I consumi digitali hanno avuto grandi implicazioni sulle nostre abitudini: abbiamo imparato ad interagire con il mondo attraverso uno schermo e tutte quelle piattaforme che già dominavano la vita quotidiana di ognuno di noi, hanno riconfigurato i modelli di business e i comportamenti di consumo.

Le relazioni tra i gruppi umani si sono trasferite online, e online sono stati condivisi gli interessi comuni, il sapere, il desiderio di apprendere, il lavoro e soprattutto la voglia di divertirsi. 

COME CAMBIA L’INDUSTRIA DEL MARKETING

Di fronte a tale cambiamento e lontano dagli spazi fisici, l’industria del marketing è stata capace di sfruttare questa opportunità reinventando la partecipazione del pubblico negli eventi digitali.

Lo spazio è diventato virtuale e la piattaforma online ha costituito il ‘perimetro liquido’ dell’evento all’interno del quale partecipa il suo pubblico. 

Non ci sono format vincolanti: ogni azienda può “costruire” un evento digitale che, a livello strategico e operativo, sia finalizzato al raggiungimento dei suoi obiettivi.

Amazon ha lanciato visite turistiche virtuali attraverso la sua piattaforma Amazon Explore.

I produttori cinesi di veicoli elettrici NIO e Tesla hanno spostato le vendite dai negozi offline al mondo virtuale, scegliendo il live streaming dopo averlo utilizzato mentre i concessionari erano chiusi. 

Anche l’industria della moda ha dimostrato come la tecnologia sia riuscita a supportare le strategie di comunicazione laddove non è stato possibile avvalersi dell’esperienza fisica.

Discord, app nata per gli appassionati di videogiochi, è ormai “il tuo posto per parlare”. Che tu faccia parte di un club scolastico, gruppo di gamer, comunità artistica mondiale, o semplicemente di un piccolo gruppo di amici che vuole passare il tempo assieme, Discord rende più facile chiacchierare ogni giorno e ritrovarsi più spesso.

Di recente, Spotify ha aggiunto il calendario degli eventi virtuali alla sua app, per consentire la visione di performance live in streaming. Inoltre, con la funzionalità “Group Session”, Spotify consente agli utenti di ascoltare la musica in tempo reale insieme ai propri amici. Allo stesso modo YouTube e Twitch lo hanno fatto con i video, come ad esempio quello del rapper americano Travis Scott, che nello scorso anno si è esibito in concerto nell’evento Astronomical su Fortnite, il popolare videogame, attirando 12 milioni di persone.

Così, dopo la sospensione delle manifestazioni dal vivo, i concerti, le anteprime di film, gli spettacoli teatrali, i contenuti formativi, le mostre e le sfilate di moda, tornano ad emozionarci online, per offrire un’esperienza magica e irripetibile senza confini spaziali né temporali.

Secondo la società di rilevazione Nielsen, la propensione dei fan a pagare un biglietto per ascoltare un concerto in streaming è passata dal 28% di luglio 2020 al 50% dello scorso novembre. 

SIA IN PRESENZA, SIA ONLINE, GLI EVENTI RESTERANNO IL MEZZO PIÙ NATURALE PER AVVICINARE LE PERSONE

L’intrattenimento è una potente fonte di ispirazione creativa. Sia in presenza, sia online, gli eventi resteranno il mezzo più naturale per avvicinare le persone, nonostante le distanze, ed emozionarle con interessi affini e complementari, offrendo emozioni memorabili. Performance dal vivo, socializzazione e ambienti virtuali continueranno a fondersi e le piattaforme esistenti si stanno già preparando. 

Quando poi avremo la possibilità di indossare delle lenti a realtà aumentata, si aprirà ai nostri occhi un mondo di esperienze inimmaginabili. Come i chirurghi che, rispetto a dove si trova il loro paziente, riescono ad operare in lontananza indossando guanti e occhiali speciali.