Il target di comunicazione nei social

di Mattia Nicoletti – Creative marketing strategist and producer – Dreamcatchers Entertainment

 

La nostalgia fa spesso vivere di ricordi che prescindono dagli aspetti più negativi. Di conseguenza accade che, quasi per magia, tutto quello che è passato è meglio del presente. Ma è realmente così.

Nel mondo professionale, i social network, il moltiplicarsi delle vie di comunicazione, l’evoluzione tecnologica, ha abbassato tutte le barriere, creando molti nuovi lavori e rendendone possibili alcuni che solo 5 o 10 anni fa erano appannaggio solo di chi aveva un budget cospicuo da investire. L’accessibilità ha però creato un affollamento che impone, a chi vuole comunicare, di essere chirurgico nel raggiungere il proprio target.

Sì, oggi il target, i consumatori che si ritengono chiave per il proprio business, devono essere raggiunti nel modo più diretto possibile, e attraverso i social network, gli strumenti a disposizione ci sono, è importante però saperli utilizzare.
Prendiamo Facebook e Instagram. Con l’ausilio di Business Manager, di cui abbiamo scritto qualche numero fa, è possibile raggiungere nel dettaglio le persone a cui vogliamo parlare e a cui vogliamo “raccontare” la storia del nostro prodotto o servizio.

Vediamo allora i passaggi fondamentali da affrontare (che comunque partono tutti da un’identificazione precisa a priori del target, indipendentemente dal mezzo utilizzato)

Area Geografica

Su Facebook/instagram il primo step (bypassiamo ogni discorso sul contenuto per esigenza di spazio) è quello di capire dove vive il target a cui si vuole parlare. Può essere una zona della città, una regione, o l’Italia intera (se non addirittura l’estero). Si deve essere consapevoli però che in base al budget stanziato, maggiore è l’area geografica, minore è la copertura. Quindi investire 100 euro in una promozione diretta all’Italia intera, non ha molto senso.

Età

Facebook e Instagram consentono di coprire un’età che arriva fino ai 65+. E’ chiaro che, sebbene anche gli ultrasessantenni siano ormai dotati di smartphone e iscritti ai social network, l’età fino ai 50 è la più reattiva e propensa a utilizzarli abitualmente.

Genere

O donne, o uomini o un mix di entrambi. Tuttavia i social non consentono di bilanciare una percentuale (ad esempio 40% donne e 60% uomini), per cui diviene molto importante il passaggio successivo, ovvero l’identificazione dei possibili interessi del target. Se identifichiamo negli interessi, makeup e profumo, probabilmente la percentuale di donne sarà superiore a quella degli uomini.

Interessi

E’ la chiave di tutto. Identificare gli interessi del proprio target (compatibilmente con quelli presenti su Facebook), restringendoli attraverso le alternative consente di giungere agli stili di vita e ai “gusti” del target. Attenzione però a non restringerlo troppo perché i costi contatto/risultato potrebbero salire e non garantire i risultati desiderati.

Alternative e tentativi

Nessuna campagna promozionale può essere perfetta nemmeno se si è a conoscenza di ogni singola persona del target. Per questa ragione è consigliabile fare partire più promozioni con diverse alternative di target. Così come è importante monitorare, nel caso la promozione partisse sia su Instagram e Facebook, l’andamento su ognuno dei social.

Le promo sui social sono uno strumento molto potente per raggiungere il proprio target, ma proprio per la facilità con cui attuarle vanno attentamente ponderate.

Giovani e franchising: l’occasione di una vita

Il lavoro cambia rapidamente in funzione del progresso tecnologico e scientifico. Molte attività nei prossimi anni spariranno, altre prenderanno il loro posto, proprio grazie alle tecnologie.

Per fortuna, la mentalità dei giovani, anche per merito dei cosiddetti nativi digitali, sta cambiando. Da questi ultimi, soprattutto, arrivano idee nuove, maggiore spirito d’iniziativa, creatività, curiosità e ambizione. Questo atteggiamento li porta a scelte drastiche, come andarsene all’estero.

Molti di loro si orientano sempre di più verso attività autonome, in cui possano essere finalmente padroni della propria vita.

In Italia è carente una cultura d’impresa

In Italia non c’è mai stata una seria cultura d’impresa. Creare un’impresa è possibile per chiunque abbia un’idea valida, un certo spirito innovativo e la necessaria determinazione. 

La mentalità imprenditoriale è un atteggiamento, un approccio al pensiero finalizzato all’innovazione, che sa porsi domande critiche, che persegue un miglioramento continuo, che sa operare con agilità, senza autocompiacimento ma con orgoglio e senso di responsabilità, e che è in grado di affrontare i rischi e anche eventuali fallimenti.

Il fenomeno delle start up

Lo spirito imprenditoriale, che poi si traduce nel desiderio di mettersi in proprio, trova il modo di svilupparsi nonostante le prime difficoltà organizzative. Ne è una evidente testimonianza l’aumento delle start up. Ma anche in questo ambito non sono tutte rose e fiori. Queste imprese, infatti – al di fuori del contingente problema della pandemia – registrano un elevatissimo tasso di mortalità (su 100 solo 8 sopravvivono al fallimento).

Molto meglio funzionano le start up innovative, ma si tratta di un settore di nicchia con imprese ad alto contenuto tecnologico, quindi riservate a specifici ambiti e professionalità. 

Qui, il tasso di mortalità è molto inferiore, ma occorre tenere conto che sono favorite da particolari aiuti economici previsti dallo Stato (finanziamenti agevolati) e supportate da numerose iniziative.

Gli aiuti dall’Europa

Next Generation EU, che viene semplificato con il termine Recovery Plan, è un fondo per il sostegno finanziario degli stati membri dell’Unione Europea colpiti dalla pandemia ma nel suo titolo porta chiaramente l’indicazione che le politiche da adottare dovrebbero rivolgersi soprattutto  alle prossime generazioni.

Pochi Paesi hanno bisogno quanto l’Italia di nuove opportunità di occupazione, crescita, e innovazione del sistema. Tutti elementi fortemente legati alla nascita di nuove imprese. Ma fino a quando gli incentivi impliciti nel sistema favoriranno le rendite di posizione e certi privilegi accumulati in passato, sarà difficile riuscirci.

Franchising: una soluzione win/win

Secondo gli esperti, il franchising è destinato ad essere uno dei motori propulsivi più importanti per superare la crisi post pandemia. E questa considerazione vale indistintamente per i franchisor e per i franchisee.

Il rapporto di partnership tra le due parti in gioco è un modello vincente perché consente di far convivere l’organizzazione aziendale delle grandi imprese, che possono sviluppare e tutelare il proprio brand, la propria cultura d’impresa, la propria etica, avvalendosi della flessibilità e delle capillarità delle microimprese franchisee.

Quindi, gli imprenditori che sono pronti per la ripresa, hanno la possibilità di sviluppare la propria attività attraverso la carta vincente del franchising, condividendo la propria esperienza e il proprio modello di business con chiunque desideri aprire un punto vendita affiliato, creando indirettamente nuovi posti di lavoro.

Un modello di business collaudato

La proposta di affiliazione, oltre ad assicurare un modello di business collaudato, permette ai franchisee di iniziare una attività imprenditoriale richiedendo un investimento modesto, a fronte di un livello di rischio molto contenuto, avendo alle spalle un franchisor che ha già sperimentato con successo il proprio business concept nel mercato. 

Il franchisee, anche quello meno esperto, potrà quindi acquisire un know-how importante, sfruttare i benefici derivanti dalle economie di scala, usufruire di promozioni e pubblicità da parte della casa madre e una assistenza manageriale e amministrativa, che si articola nel tempo anche attraverso corsi di aggiornamento e formazione.   

L’irresistibile ascesa del franchising tra i giovani

Il franchising è un settore in netta crescita perché, come abbiamo detto, utilizza un sistema vincente. Questo vale anche per le imprese che già operano sul mercato con un marchio conosciuto.

In questo modo, infatti, è data loro la possibilità di sviluppare la propria attività, sfruttando il trend di ripresa che già si intravede, espandendosi sul mercato con sicurezza, creando propri format di franchising, rapidamente e a costi molto più ridotti che se decidessero di aprire proprie filiali. 

Questo modello di business win/win aiuta quindi l’occupazione e l’imprenditoria, e si rivolge a tutti, ma in particolare ai giovani, delusi di non riuscire a trovare un’occupazione adeguata e intenzionati a mettersi alla prova come imprenditori. 

Un dato, per finire, a conferma di questa tendenza. Secondo un recente rapporto di Assofranchising, quasi il 90% dei franchisee ha un’età compresa tra i 25 e i 45 anni ed uno su quattro ha un’età compresa tra i 25 e i 35 anni. Allora, cosa aspettano i giovani?

La trasformazione digitale: uno dei principali obiettivi di business

“Il centro commerciale dovrà avere alla base un modello di innovazione aperto, forte della partnership e della condivisione di valore tra tutti gli attori in gioco: proprietà, retailer, gestori, clienti”

Trasformazione digitale, un termine oramai entrato nel vocabolario quotidiano di moltissimi brand e di moltissime aziende come uno dei principali obiettivi di business, soprattutto dopo la pandemia che ha di fatto accelerato il passaggio ad un’abitudine di consumo e di fruizione del prodotto in modo nuovo, secondo dinamiche che si stavano progressivamente affermando, e che gli esempi esteri testimoniavano già da tempo.

Più che di trasformazione, preferisco parlare di integrazione digitale, processo da cui non si può più prescindere: il digitale è a tutti gli effetti un abilitatore a favore del fisico, all’interno di un processo di acquisto sempre più complesso e integrato fra i vari canali che il consumatore ha a disposizione. Il cliente è oramai a tutti gli effetti un consumatore “omnicanale” e tale processo difficilmente sarà reversibile; quello che potrà davvero fare la differenza sarà la logica del servizio, l’esperienza che sarò in grado di dare al mio consumatore che di fatto può avere accesso a quel prodotto in maniera facile e da diversi punti di contatto.

Fisico e digitale come possono integrarsi? Perché il consumatore dovrebbe venire da me per comprare un prodotto facilmente reperibile ovunque e in maniera estremamente veloce? Che cosa mi offre in più quel determinato spazio fisico? Come posso colmare il gap fra centro commerciale e commercio online? Che ruolo può avere il centro commerciale nell’ambito della trasformazione digitale in quanto mero contenitore di prodotti e di servizi?

Francesca Pinzone, Head of Marketing Department di Svicom

“Sono questi i principali quesiti su cui i centri commerciali hanno cominciato ad interrogarsi e che noi di Svicom abbiamo già da tempo cercato di risolvere identificando soluzioni atte ad integrare progressivamente la tecnologia nei vari processi del business aziendale.

 Il negozio diventa il culmine di un processo relazionale con il brand che parte molto prima e molto più complesso, che porta le persone a effettuare ricerche sui prodotti ancora prima di recarsi sul punto vendita e che nel punto vendita si aspettano qualcosa di differenziante che abbia un ruolo importante sulla sfera dell’emozione e vivere un’esperienza che soltanto il fisico sarà in grado di dare e che non potrà mai essere soppiantata dal digitale.

Potrei citare vari esempi, sebbene vorrei concentrarmi su un progetto innovativo che mi sta particolarmente a cuore frutto di un’osservazione attenta delle dinamiche del mercato e dei cambiamenti in atto, della conoscenza del consumatore, ma soprattutto di brainstorming interno fra i vari stakeholders coinvolti.

The Place To Do è la nostra experience platform che dall’estate 2021 sarà lanciata in alcune delle nostre strutture; il cliente potrà scegliere iniziative, eventi, corsi ed attività da sperimentare sul centro o on demand, con la famiglia, da solo, con gli amici. Si introduce così il concetto della “personalizzazione” di contenuti del centro commerciale, rivedendo quindi nelle fondamenta il paradigma classico di eventi ed esperienze generalisti nei centri commerciali.

Il marketing dell’era digitale ci sta insegnando che un retailer o un centro commerciale potrà essere più competitivo adottando due strategie non escludenti: la collaborazione con i propri clienti (co-creazione) e il dialogo con altre imprese, in certi casi anche concorrenti (coopetizione). Il centro commerciale dovrà avere alla base un modello di innovazione aperto, forte della partnership e della condivisione di valore tra tutti gli attori in gioco: proprietà, retailer, gestori, clienti”.

Non solo numeri: come è cambiato il rapporto con i brand?

L’indagine di OpenText evidenzia il ruolo cruciale della Digital Experience dopo la pandemia

Una nuova ricerca di OpenText – leader nelle soluzioni e software di Enterprise Information Management, svela in quale misura la pandemia abbia cambiato il rapporto dei consumatori con i brand, evidenziando la crescente importanza assunta da un’esperienza digitale semplificata nell’era Post COVID-19.

Gli italiani si sono rivelati i più attenti alla relazione con i brand: ben 7 su 10 (70%), infatti, si dichiarano più propensi ad acquistare da quei marchi che si rivolgono loro trattandoli come veri e propri individui, piuttosto che come clienti qualsiasi.

Inoltre, più della metà degli intervistati (53%) acquista solo da brand che dimostrano di comprendere le loro esigenze e preferenze, ad esempio, comunicando attraverso i loro canali favoriti o proponendo offerte personalizzate.

La centralità della Customer Experience

Quasi 3 italiani su 4 (74%) tendono a non fare nuovi acquisti da un marchio con cui hanno avuto una cattiva esperienza. Il 65%, infatti, non crede più che al giorno d’oggi si possa essere “clienti per la vita”: proprio per questo, i brand non possono più fare affidamento sulla fedeltà dei clienti per riconquistarne la fiducia a seguito di episodi negativi.

Creare esperienze fluide è la chiave per la soddisfazione delle persone. Quando acquistano prodotti o servizi online, quasi 8 consumatori italiani su 10 (79%) ritengono che poter effettuare la ricerca in modo semplice sia molto importante.

“La crisi conseguente alla pandemia da COVID-19 ha accelerato l’adozione del digitale in tutti i settori, portando le aziende a dover cambiare il proprio modo di comunicare con i clienti”, dichiara Antonio Matera, Regional Vice President Italy, Malta, Greece & Cyprus di OpenText. “Di conseguenza, anche le aspettative dei consumatori sono cambiate. Ora chiedono di più ai brand: più canali di comunicazione, più personalizzazione e, soprattutto, un’esperienza digitale continua e connessa. La capacità di fornire comunicazioni ricche e ultra-personalizzate su scala, attraverso tutti i canali e i punti di contatto, è diventata fondamentale per acquisire, aumentare e mantenere la base clienti”.

L’importanza del Digitale in un mondo post-COVID

Per il 65% dei consumatori italiani, la pandemia ha cambiato le aspettative su ciò che l’offerta digitale di un marchio dovrebbe includere.

Oltre la metà degli intervistati (54,5%) ora si sente più a suo agio con aziende che operano in maniera esclusivamente digitale, tanto che un quarto di loro (25%) non si rivolgerà più a quelle realtà che non sono state in grado di fornire esperienze di acquisto online di livello. Inoltre, per quasi 6 consumatori italiani su 10 (58%), un’esperienza digitale personalizzata è diventata essenziale per continuare a scegliere un determinato brand.

Antonio Matera
Regional Vice President Italy Malta Greece Cyprus

Creare una customer experience positiva significa eliminare ogni attrito e aumentare la rilevanza del brand: più è semplice fare una cosa e più diventa rilevante per i clienti”, conclude Matera. “Oggi le persone si aspettano che la propria esperienza, dalla ricerca dei prodotti al monitoraggio degli ordini, possa passare senza difficoltà da una piattaforma digitale all’altra, mantenendo la personalizzazione, su qualsiasi dispositivo e in qualsiasi momento. Per i brand, questo significa investire in soluzioni digitali che consentano di integrare dati, informazioni e risorse in modo fluido e in diversi contesti. In mancanza di ciò, avranno difficoltà a creare e offrire quelle esperienze coerenti e personalizzate necessarie per conquistare e mantenere i clienti”.

Marchio comunitario e marchio internazionale: cosa sono

Articolo tratto da AZ Franchising magazine – luglio agosto 2021 a cura di Avv. Patricia de Masi Taddei Vasoli – dMTV LEX

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I marchi sia comunitari che internazionali, sono una entità capace di caratterizzare un’impresa e/o un suo prodotto, rispetto ad altri presenti sul mercato. La registrazione garantisce una protezione nell’intero territorio di riferimento ed una tutela in caso di conflitti legati all’effettiva titolarità del diritto di privativa.

La differenza tra marchio comunitario ed internazionale

La registrazione comunitaria tutela il marchio su tutto il territorio dell’Unione Europea, compresi i Paesi che dovessero entrare a farvi parte in futuro.

 Il marchio comunitario ha una validità di dieci anni dalla data di deposito della domanda e può essere rinnovato per ulteriori periodi di dieci anni.
Il titolare di un marchio comunitario può tuttavia decadere dai suoi diritti, qualora manchi un uso serio ed effettivo del marchio stesso all’interno del territorio dell’Unione, entro cinque anni dalla data di registrazione. 

I vantaggi del marchio comunitario consistono essenzialmente nella procedura unificata di deposito e nella convenienza quanto ai costi di deposito (inferiori rispetto a quelli che sarebbero necessari per la protezione del marchio in tutti i Paesi membri, attraverso singoli depositi nazionali) nonché nel fatto che l’uso del marchio, anche in un solo Paese dell’Unione Europea, purché rilevante per territorio e popolazione, è considerato idoneo a evitarne la decadenza in tutto il territorio dell’Unione. Per contro, un limite importante del marchio comunitario è altresì diretta conseguenza del suo carattere unitario: un’eventuale contestazione alla validità del marchio, anche in uno solo dei Paesi membri, se ritenuta fondata, porta infatti al conseguente rifiuto del marchio comunitario nel suo complesso. 

I marchi nazionali anteriori possono costituire diritti anteriori rispetto a un marchio comunitario e viceversa: l’ufficio non esamina ex officio tali diritti anteriori ma sarà il titolare del diritto anteriore a dover sollevare la questione, presentando un’opposizione entro tre mesi dalla pubblicazione della domanda del marchio comunitario oppure depositando una domanda di dichiarazione di nullità basata su cause relative di nullità. 

Il marchio internazionale

I titolari di un marchio italiano o comunitario, registrati o allo stato di domanda, possono estenderne la tutela nel territorio di uno o più Paesi europei ed extraeuropei appartenenti alla cosiddetta Unione di Madrid, costituita dai Paesi aderenti alla convenzione in base a due trattati (l’Accordo e il Protocollo di Madrid), presentando un’unica domanda di registrazione internazionale del marchio, secondo la procedura amministrata dall’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale di Ginevra (OMPI o WIPO).

Il marchio internazionale ha una validità di dieci anni decorrenti dalla data di concessione e può essere rinnovato per periodi decennali. La domanda di registrazione o di rinnovo di un marchio internazionale, a differenza di quanto previsto per il marchio comunitario, può essere depositata presso le Camere di commercio oppure direttamente presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi a mezzo raccomandata a/r; l’unica modalità di deposito attualmente esistente per il marchio internazionale è quella cartacea, utilizzando l’apposita modulistica disponibile sul sito dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale di Ginevra. L’UIBM trasmette quindi la domanda a tale Organizzazione che provvede all’esame formale. L’esame sostanziale del marchio spetta invece agli Uffici marchi dei singoli Paesi designati, in conformità alle rispettive normative nazionali. 

È importare ricordare che è prevista la possibilità di effettuare un’estensione territoriale posteriore, al fine cioè di estendere il marchio internazionale, in un secondo tempo, ad altri Paesi non designati nella prima domanda di deposito internazionale: in tal caso, però, la durata della protezione di un’estensione posteriore viene fatta coincidere con la durata della protezione del primo deposito internazionale, in modo da avere un’unica data di scadenza del marchio internazionale. 

L’estinzione può avvenire per tali ragioni:

  • in seguito all’accertamento di vizi che ne determinano la nullità;
  • per decadenza a causa della sua c.d. “volgarizzazione” per perdita della sua capacità distintiva (pensiamo al marchio Biro per penne a sfera o Rimmel per il mascara o Scoch per il nastro adesivo;
  • per illiceità sopravvenuta per sopravvenuta capacità di ingannare il pubblico, soprattutto sulla provenienza dei prodotti o sulle loro qualità;
  • per non uso effettivo.

L’editoriale di AZ Franchising del numero di luglio e agosto 2021

“Ogni giorno, quello che scegli, quello che pensi e quello che fai è ciò che diventi.”

Eraclito

 

La riapertura e la ripresa di tutte le attività ci restituisce il nostro lavoro. Il retail era in grande evoluzione già da prima della pandemia ma adesso più velocemente è necessario intercettare le novità, i format, i brand che meglio interpretano il mondo del commercio ai nostri giorni. I servizi sono sempre più centrali. Il cliente è più esigente e chiede di più rispetto al passato. Questo perché avverte un pericolo per la sua salute, al centro dell’attenzione di questo periodo, ed è in cerca sempre di più della sua sicurezza. Uno dei luoghi destinati al commercio che ha avvertito questa esigenza di cambiamento è sicuramente il Centro Commerciale. Infatti dopo la riapertura, post pandemia, si è avuta la necessità di attuazione di strategie e azioni sempre più orientate alla responsabilità sociale e ambientale, del benessere e della salute. L’apertura, in circa 25 centri commerciali, su tutto il territorio nazionale, di hub vaccinali e il positivo riscontro da parte dei clienti che hanno usufruito di questo servizio è stata la riprova di quanto l’offerta di questo genere di assistenza di prossimità sia apprezzata dalle persone. In questo numero di AZ Franchising abbiamo raccolto le testimonianze di protagonisti autorevoli del settore. E a unanime sono tutti d’accordo su un punto: l’aumento dei servizi sarà centrale per il futuro degli spazi commerciali. E siamo d’accordo anche noi quindi non solo consumo, ma anche attenzione a tutte le nuove esigenze “sociali” che la pandemia ha fatto occupare un posto in alto nelle aspettative dei clienti. Questo conferisce agli attori del mercato e a noi che quel mercato lo seguiamo e lo raccontiamo una grande responsabilità a fare sempre di più, nell’ottica del cliente e del consumatore, e a fare meglio. Perché la centralità è il benessere del cittadino, del consumatore. In tutto questo l’offerta merceologica da sola non basterebbe a spiegare l’interesse della gente per queste realtà quindi diventa prioritario, oggi, ampliare il segmento dei servizi alla persona: centri fitness, presidi sanitari, poliambulatori per i controlli della salute, insomma il ventaglio è ampio. Un ruolo molto importante è rappresentato dalla tecnologia, dall’accelerazione della digital transformation in virtù delle nuove esigenze. E’ possibile, quindi, immaginare gli spazi commerciali del futuro, dove il futuro è già presente, come una micro-città iperconnessa, guidata dall’interazione tra le persone per le shopping destination, ma anche per usufruire di servizi legati alla sicurezza e alla salute. Le nuove tecnologie si fonderanno con la tradizione, con la possibilità di trovare altri spazi differenti ad esempio aree di coworking. Come si fa per realizzare tutto questo sicuri del succeso? Da qui l’esigenza per tutti di conoscere bene e profilare il proprio cliente. Di condividere le ragioni delle proprie scelte, con. A fare bene le cose, dopo averle ben scelte e pensate.  Questa diventa una filosofia aziendale che ci aiuta a essere migliori per noi e per gli altri. 

 

Fabio Pasquali

L’evento digitale come leva di marketing

Di Stefania Giuseppetti

Gli eventi hanno da sempre costituito momenti di grande interesse e coinvolgimento, caratterizzando la nostra storia e la nostra evoluzione.

Il fenomeno che essi rappresentano ha assunto una dimensione sempre più rilevante, fino ad arrivare ad essere utilizzato come leva di marketing. 

Nelle loro molteplici varianti – istituzionali o di prodotto, esclusivi o di massa, culturali o per il business – gli eventi rappresentano lo strumento di comunicazione che meglio si adatta alle esigenze di imprese ed enti che intendono lanciare un nuovo prodotto, promuovere un servizio o un’idea, per trasformare i valori e l’immagine in una User Experience concreta e indimenticabile.

NUOVE SOLUZIONI, NUOVI LUOGHI E NUOVI SPAZI D’INCONTRO

Il 2020, caratterizzato dalla pandemia, ha sconvolto tutto ciò che davamo per scontato: ha cambiato il modo in cui viviamo, lavoriamo, impariamo, facciamo acquisti e giochiamo; ha cambiato il come e il dove sperimentiamo le cose e ci ha costretto a ricorrere a nuove soluzioni, nuovi luoghi e nuovi spazi d’incontro e, soprattutto, nuove esperienze.

Pertanto, le aziende e i brand hanno dovuto fare i conti con un panorama sociale profondamente mutato, che ha riscritto le regole e il modo di vivere le abitudini del consumatore.

Con l’obbligo del distanziamento sociale, dell’isolamento e la conseguente sospensione delle normali attività, anche l’approccio agli eventi ha subito mutazioni radicali, che hanno dato inizio ad una nuova era, fatta di esperienze virtuali e ibride.

I consumi digitali hanno avuto grandi implicazioni sulle nostre abitudini: abbiamo imparato ad interagire con il mondo attraverso uno schermo e tutte quelle piattaforme che già dominavano la vita quotidiana di ognuno di noi, hanno riconfigurato i modelli di business e i comportamenti di consumo.

Le relazioni tra i gruppi umani si sono trasferite online, e online sono stati condivisi gli interessi comuni, il sapere, il desiderio di apprendere, il lavoro e soprattutto la voglia di divertirsi. 

COME CAMBIA L’INDUSTRIA DEL MARKETING

Di fronte a tale cambiamento e lontano dagli spazi fisici, l’industria del marketing è stata capace di sfruttare questa opportunità reinventando la partecipazione del pubblico negli eventi digitali.

Lo spazio è diventato virtuale e la piattaforma online ha costituito il ‘perimetro liquido’ dell’evento all’interno del quale partecipa il suo pubblico. 

Non ci sono format vincolanti: ogni azienda può “costruire” un evento digitale che, a livello strategico e operativo, sia finalizzato al raggiungimento dei suoi obiettivi.

Amazon ha lanciato visite turistiche virtuali attraverso la sua piattaforma Amazon Explore.

I produttori cinesi di veicoli elettrici NIO e Tesla hanno spostato le vendite dai negozi offline al mondo virtuale, scegliendo il live streaming dopo averlo utilizzato mentre i concessionari erano chiusi. 

Anche l’industria della moda ha dimostrato come la tecnologia sia riuscita a supportare le strategie di comunicazione laddove non è stato possibile avvalersi dell’esperienza fisica.

Discord, app nata per gli appassionati di videogiochi, è ormai “il tuo posto per parlare”. Che tu faccia parte di un club scolastico, gruppo di gamer, comunità artistica mondiale, o semplicemente di un piccolo gruppo di amici che vuole passare il tempo assieme, Discord rende più facile chiacchierare ogni giorno e ritrovarsi più spesso.

Di recente, Spotify ha aggiunto il calendario degli eventi virtuali alla sua app, per consentire la visione di performance live in streaming. Inoltre, con la funzionalità “Group Session”, Spotify consente agli utenti di ascoltare la musica in tempo reale insieme ai propri amici. Allo stesso modo YouTube e Twitch lo hanno fatto con i video, come ad esempio quello del rapper americano Travis Scott, che nello scorso anno si è esibito in concerto nell’evento Astronomical su Fortnite, il popolare videogame, attirando 12 milioni di persone.

Così, dopo la sospensione delle manifestazioni dal vivo, i concerti, le anteprime di film, gli spettacoli teatrali, i contenuti formativi, le mostre e le sfilate di moda, tornano ad emozionarci online, per offrire un’esperienza magica e irripetibile senza confini spaziali né temporali.

Secondo la società di rilevazione Nielsen, la propensione dei fan a pagare un biglietto per ascoltare un concerto in streaming è passata dal 28% di luglio 2020 al 50% dello scorso novembre. 

SIA IN PRESENZA, SIA ONLINE, GLI EVENTI RESTERANNO IL MEZZO PIÙ NATURALE PER AVVICINARE LE PERSONE

L’intrattenimento è una potente fonte di ispirazione creativa. Sia in presenza, sia online, gli eventi resteranno il mezzo più naturale per avvicinare le persone, nonostante le distanze, ed emozionarle con interessi affini e complementari, offrendo emozioni memorabili. Performance dal vivo, socializzazione e ambienti virtuali continueranno a fondersi e le piattaforme esistenti si stanno già preparando. 

Quando poi avremo la possibilità di indossare delle lenti a realtà aumentata, si aprirà ai nostri occhi un mondo di esperienze inimmaginabili. Come i chirurghi che, rispetto a dove si trova il loro paziente, riescono ad operare in lontananza indossando guanti e occhiali speciali.

Il principio della novità: requisito indispensabile per il deposito di un marchio

I marchi sono una entità capace di caratterizzare un’impresa e/o un suo prodotto, rispetto ad altri presenti sul mercato

La disciplina relativa ai marchi e ai diritti di proprietà industriale è contenuta nel D.Lgs.30/2015, modificato dal D.Lgs-15/2019, in vigore dal 23 marzo 2019, qui di seguito DPI. Quando pensiamo alla proprietà industriale ci riferiamo prevalentemente ai marchi, ai modelli e alle invenzioni.

In particolare:

L’art. 1 del CPI dispone che “l’espressione Proprietà Industriale comprende marchi e altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali”. 

I marchi vengono quindi citati nella norma insieme ad altri “segni distintivi”, intendendosi con tale espressione qualsiasi entità capace di caratterizzare un’impresa e/o un suo prodotto, rispetto ad altri presenti sul mercato.

Ad esso si applicano anche il Regolamento di attuazione del CPI e gli artt.2569-2571 C.C. oltre alle fonti internazionali e comunitarie tra cui il Reg. UE 1001/2017.

La normativa precisa un principio fondamentale, un requisito indispensabile perché il deposito di un marchio sia valido: il principio della novità.

Non sono nuovi i segni che siano:

1) identici o simili ad un segno già noto, in via non puramente locale, come marchio o segno distintivo di prodotti o servizi identici o affini, se sussiste un rischio di confusione per il pubblico, anche solo potenziale, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni;

2) identici o simili a un segno già noto, in via non puramente locale, come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio usato nell’attività economica, o altro segno distintivo adottato da altri, se sussiste un rischio di confusione per il pubblico, anche solo potenziale, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni;

3) identici ad un marchio già registrato da altri nello Stato o con efficacia nello Stato per prodotti o servizi identici;

4) identici o simili ad un marchio già registrato da altri nello Stato o con efficacia nello Stato per prodotti o servizi identici o affini, se sussiste un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni;

5) identici o simili ad un marchio già registrato da altri nello Stato o con efficacia nello Stato, per prodotti o servizi identici, affini o non affini, quando il marchio anteriore goda nell’Unione europea o nello Stato, di rinomanza e quando l’uso di quello successivo senza giusto motivo trarrebbe indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore o recherebbe pregiudizio agli stessi.

Per maggiori informazioni > AZ Franchising Giugno 2021 / PROPRIETÀ INDUSTRIALE: I MARCHI E IL LORO VALORE NELL’IMPRESA a cura dell’Avv. Patricia de Masi Taddei Vasoli – dMTV LEX

Think green: la nuova visione produttiva delle imprese

di Stefania Giuseppetti **

Con la crescita dell’attenzione verso comportamenti, approcci e abitudini ecosostenibili, anche i consumatori hanno sviluppato una maggiore sensibilità ai temi ambientali. Nasce, così, una visione produttiva e competitiva delle imprese, verso un cammino di maggiore responsabilità sociale e minore impatto sul territorio.

Responsabilità che si traducono in originali strategie di marketing finalizzate alla crescita e al vantaggio competitivo, ma con l’obiettivo di migliorare e tutelare la società ed il pianeta.

Tale scenario ha portato alla diffusione di espressioni come green marketing, marketing sostenibile, marketing ambientale o marketing ecologico: tutte definizioni che enfatizzano l’attenzione sulla salute del nostro “ecosistema”.

Il green marketing: una nuova filosofia dei consumi

Il green marketing, oltre ad essere un modo per salvaguardare il nostro pianeta, rappresenta una nuova filosofia dei consumi per una società più equilibrata e più etica. I comportamenti di consumo ispirati alla cultura del surplus lasciano il posto ai nuovi comportamenti ispirati alla cultura dell’essenzialità. Il consumatore, infatti, è sempre più sensibile allo sviluppo sostenibile e all’impatto ambientale delle aziende che sceglie per soddisfare i propri bisogni e desideri.

Quindi, il green marketing è lo strumento più idoneo per accogliere la domanda proveniente dal mercato e trasformarla in prodotti e servizi ecocompatibili. Può essere realizzato in vari modi: nel processo produttivo e nella distribuzione, attraverso il risparmio energetico, l’impatto ambientale, oppure lo sfruttamento razionale delle risorse; nell’imballaggio, con la riduzione del packaging o il risparmio dei materiali; nello smaltimento attraverso il riciclo o la biodegradabilità.

Le imprese sempre più consapevoli dell’importanza della sostenibilità

La definizione di “sviluppo sostenibile” come “uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni” [rapporto Brundtland, rilasciato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo (WCED)] ha assunto un valore strategico di riferimento per un numero sempre più crescente di imprese, consapevoli della propria responsabilità nell’ambito economico, ambientale e sociale.

L’attenzione e il sostegno per il rispetto dell’ambiente coinvolge sempre di più non solo quelle imprese con una spiccata sensibilità nei confronti delle tematiche ecologiche, ma chiunque abbia il desiderio di intraprendere un cammino di maggiore responsabilità sociale e minore impatto sul territorio.

Sempre più spesso accade di imbattersi in iniziative di co-marketing verde, attraverso le quali acquistando un determinato prodotto si partecipa a sostenere una campagna di solidarietà.

È importante un effettivo riscontro con la realtà

Questa tendenza si è manifestata a causa dell’esigenza di valorizzare e comunicare il ruolo socialmente responsabile delle aziende, ma anche per la nuova propensione del consumatore di premiare l’azienda con la quale riesce ad identificarsi e di cui condivide le azioni, siano esse sociali, ecologiche o simili. Il “pensiero sostenibile” dall’azienda e la conseguente comunicazione devono trovare un effettivo riscontro con la realtà. Think green potrebbe essere il nuovo motto delle aziende, ma soprattutto talk green nell’ottica dell’instaurazione di un dialogo continuativo, dove parlare e ascoltare le esigenze dei propri consumatori rientra nelle attività principali delle aziende che puntano al soddisfacimento e alla fidelizzazione del proprio pubblico.

E proprio grazie alla comunicazione e alla diffusione di stili di vita che promuove il marketing è possibile comunicare nuovi codici di comportamento, maggiormente rispettosi  dell’ambiente,  etici  e  sostenibili.

Il progresso ha sicuramente migliorato le nostre condizioni di vita, ma non ha tenuto conto delle conseguenze sull’ambiente. Infatti, il 2020, oltre ad essere ricordato come l’anno della pandemia, ha chiuso un decennio di temperature record, a testimonianza del riscaldamento globale e di un risultato che appartiene a un modello di sviluppo non più replicabile. Non a caso nei piani di ripresa post-pandemia, una grossa fetta delle risorse è stata stanziata proprio per gli obiettivi “green”.

Tra le imprese orientate alla Corporate social Responsability, Ikea – società svedese tra i maggiori consumatori di legno in tutto il mondo – ha dato prova di una grande coscienza ambientale e, per questo, è anche in cima alle classifiche delle aziende impegnate in attività di green marketing.

Ikea e Calzedonia: campagna sostenibile

“Quanto è sostenibile IKEA? Ebbene, ogni giorno più sostenibile. Con prodotti come hot dog vegetariani, frontali di cucine realizzati con bottiglie di plastica riciclate e soluzioni a risparmio energetico, sta aprendo la strada a case più sostenibili per molti. Crede che le persone debbano sentirsi autorizzate a vivere in modo più sostenibile, motivo per cui si concentra sull’ispirazione al cambiamento con un design del prodotto economico, riciclabile ed efficiente dal punto di vista energetico. Perché “Nessun metodo è più efficace del buon esempio”. [https://www.ikea.com/us/en/this-is-ikea/sustainable-everyday/]

Calzedonia – il noto franchising italiano di abbigliamento, che già nella collezione Autunno/Inverno 2019 aveva lanciato una linea di collant realizzati con l’impiego di un innovativo filato riciclato – produce una linea green creati con tessuti sostenibili e a basso impatto ambientale. Dai calzini ai leggings, fatti di materiali riciclati come il PET e le fibre rinnovabili di origine vegetale proiettano il brand in “un futuro più sostenibile”.

I disegni e i messaggi riprodotti, ad esempio, sui nuovi calzini – come “No More Plastic” con una tartaruga, “Love the Ocean” accompagnato da una balena, “Green is cool” e “Save Water” – hanno l’obiettivo di sensibilizzare i consumatori sul tema del cambiamento climatico. A completare l’impegno green, anche il packaging e le shopping bag sono stati entrambi realizzati con materiali riciclati e riciclabili al 100%.

Bando Invitalia: nuove imprese a tasso 0

Dott.ssa Francesca Paleari – Founder & General Manager Obiettivo Sviluppo*

“Coronavirus, Istat: 73mila imprese chiuse, 17mila non riapriranno” (Fonte IlSole24ore). L’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia ancora in corso ha avuto, e soprattutto avrà, un impatto catastrofico sull’economia italiana e sulla sopravvivenza di un numero impressionante di imprese. In alcuni settori, si parla almeno del 30% di attività a rischio, nonostante le misure e le politiche messe in atto dal Governo e dall’Unione Europea. Le ore di cassa integrazione utilizzate parlano da sole; i miliardi di liquidità iniettati pro-tempore nelle casse delle aziende non saranno purtroppo sufficienti a mantenerle aperte.

In controtendenza con questo scenario, proprio perché nei momenti di crisi oltre ai drammi si sviluppano sempre enormi nuove opportunità, analizziamo in questo numero un bando di Invitalia che sta riscuotendo un enorme successo in termini di domane presentate: Nuove imprese a tasso zero.

DARE IMPULSO ALLA CRESCITA ECONOMICA

Mission di Invitalia, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo, di proprietà del Ministero dell’Economia, è da sempre quello di dare impulso alla crescita economica del nostro Paese, attraverso progetti sia in settori strategici, sia per il rilancio delle aree di crisi e del Mezzogiorno. Attraverso la gestione degli incentivi nazionali, vuole favorire la nascita di nuove imprese e di startup innovative, finanziando grandi e piccoli progetti e rivolgendosi ad imprenditori con concreti piani di sviluppo.

Nuove Imprese a Tasso Zero è, appunto, un incentivo promosso dal Ministero dello Sviluppo Economico che vuole sostenere la creazione (o lo sviluppo) di piccole imprese composte in prevalenza o totalmente da giovani tra i 18 e i 35 anni oppure da donne di tutte le età. Questa agevolazione prevedono un mix di finanziamento a tasso zero e contributo a fondo perduto per progetti d’impresa con spese fino a 3 milioni di euro, che può coprire fino al 90% delle spese totali ammissibili.

MODI E MODALITÀ DI PRESENTAZIONE DELLA DOMANDA

I piani di impresa devono essere avviati successivamente alla presentazione della domanda e devono essere conclusi entro 24 mesi dalla data di stipula del contratto di finanziamento. L’incentivo è a sportello: non ci sono graduatorie né scadenze. Le domande sono esaminate in base all’ordine di arrivo. Invitalia valuta i business plan, concede i finanziamenti e monitora la realizzazione dei progetti.

Ma entriamo nel dettaglio del bando, partendo dalla identificazione dei destinatari.

Nuove Imprese a Tasso Zero si rivolge appunto alle micro e piccole imprese composte in prevalenza da giovani tra i 18 e i 35 anni o da donne di tutte le età, su tutto il territorio nazionale. Sono ammissibili le imprese che abbiano una compagine sociale composta per almeno il 51% da giovani under 35 e da donne di tutte le età. La maggioranza si riferisce sia al numero di componenti donne e/giovani presenti nella compagine sociale sia alle quote di capitale detenute. Accedono al finanziamento le imprese costituite entro i 5 anni precedenti con regole e modalità differenti a seconda che si tratti imprese costituite da non più di 3 anni o da imprese costituite da almeno 3 anni e da non più di 5. Anche le persone fisiche possono presentare domanda di finanziamento, con l’impegno di costituire la società dopo l’eventuale ammissione alle agevolazioni

Entriamo ora nello specifico delle spese che possono essere finanziate.

Le tipologie (o classi) di spesa deve essere sostenute per creare nuovi progetti ma anche per trasformare attività esistenti. La copertura delle spese ammissibili può arrivare al 90% da rimborsare in 10 anni, senza richiesta di garanzie per finanziamenti inferiori a 250 mila euro (è invece richiesta una garanzia per finanziamenti > 250 mila euro o per l’acquisto di un immobile). I piani di impresa devono essere avviati successivamente alla presentazione della domanda e devono essere conclusi entro 24 mesi dalla data di stipula del contratto di finanziamento. Sono previste due linee di finanziamento con programmi di spesa e regime di aiuti diversi, a seconda che le imprese siano costituite da non più di 3 anni oppure da almeno 3 e non più di 5 anni. Nel primo caso (imprese costituite da non più di 3 anni) i progetti di investimento devono avere un valore massimo pari ad 1,5 milioni di euro; il finanziamento potrà coprire al massimo il 90% delle spese e potrà essere rimborsato in massimo 10 anni. La quota massimo di contributo a fondo perduto potrà essere del 20% delle spese ammesse.

Vediamo ora un esempio concreto delle classi di spesa ammissibili:

  • Opere murarie e assimilate (30% investimento ammissibile);
  • Macchinari, impianti e attrezzature;
  • Programmi informatici e servizi per l’ICT;
  • Brevetti, licenze e marchi;
  • Consulenze specialistiche (5% investimento ammissibile);
  • Spese connesse alla stipula del contratto di finanziamento;
  • Spese per la costituzione della società.

Nel secondo caso citato (imprese tra i 3 e i 5 anni), potranno essere invece presentati progetti che prevedono spese per investimento fino a 3 milioni di euro, per realizzare, ampliare, diversificare o trasformare le attività già esistenti. In questo caso, il contributo a fondo perduto non potrà superare il 15% delle spese ammissibili, tra cui:

  • Acquisto di immobili solo nel settore turistico (40% investimento ammissibile);
  • Opere murarie e assimilate (30% investimento ammissibile);
  • Macchinari, impianti e attrezzature;
  • Programmi informatici;
  • Brevetti, licenze e marchi.

Alcuni numeri di questa iniziativa, attiva dal 2016:

  • 3.541 business plan presentati, per 1,371 mld di eur di investimenti previsti, pari a 992 mln di agevolazioni richieste;
  • le iniziative finanziate sono state (dati al 01/04/2021) 575, per 188 mln di investimenti attivati e 131 mln di euro a Agevolazioni concesse.

Le opportunità ci sono, Obiettivo Sviluppo anche.

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  • Obiettivo Sviluppo nasce per dare una risposta concreta alle esigenze degli imprenditori italiani che negli anni si sono sempre avvicinati al mondo delle agevolazioni pubbliche, dei mercati globali, delle partnership, senza riuscire a fare il next step: dall’idea all’execution. Con il progetto UP, il team entra nel vivo di questi argomenti, liberando imprenditori e manager dall’operatività di queste azioni, lasciandoli liberi di fare il loro lavoro e sviluppare il loro core business. I campi di azioni sono: finanza agevolata, internazionalizzazione, networking. Settori di intervento: agricoltura, agroindustria/agroalimentare, artigianato, commercio, cultura, industria, pubblico, servizi/No Profit, turismo. Per informazioni:
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