Pubblicità: ecco perché aprire in franchising conviene

Fra le tante caratteristiche dell’affiliazione che fanno dire che “aprire in franchising conviene” c’è la pubblicità. Ovvero, l’affiliato non deve preoccuparsi di organizzare campagne di marketing e di visibilità perché ci pensa la casa madre, cioè il franchisor. Ma come avviene questo meccanismo nel franchising? Semplice. Il franchisee, cioè l’affiliato, paga una quota, che fa parte della royalty, cioè il canone periodico che può essere in percentuale sul fatturato o fisso.

Aprire in franchising conviene, quindi, perché la quota che il franchisee pagherebbe per la pubblicità e il marketing se non fosse affiliato sarebbe molto più alta. L’affiliato, in particolare, beneficia di tutte le campagne pubblicitarie promosse dal franchisor e cioè sia per pubblicità istituzionale – per l’espansione della rete, la ricerca di nuovi affiliati e il sostegno dell’immagine dei prodotti della catena – e sia pubblicità al cliente finale a livello nazionale (o eventualmente locale). In alcuni casi, invece, specie quando non sono previste canoni periodici nel contratto franchising, per tale impegno dell’affiliante è richiesto al franchisee un contributo annuale per la spesa pubblicitaria a carattere nazionale in percentuale sul fatturato oppure, più raramente, in cifra fissa, variabile di anno in anno. Inoltre, generalmente, la pubblicità locale è a carico dell’affiliato ma può verificarsi che anche l’affiliante vi contribuisca in qualche maniera, soprattutto in fase di lancio del nuovo punto vendita.

Molti lettori ci chiedono: “E se la casa madre prende i soldi ma non fa la pubblicità?”. Ecco due risposte che traiamo dalla legge del franchising. Primo, il franchisor è tenuto a eseguire il mandato con la diligenza “del buon padre di famiglia”. Secondo, sulla casa madre grava un obbligo di rendicontazione periodica. Per legge, mancando uno di questi due fattori, l’affiliato può legittimamente rompere il contratto. Ecco perché diciamo che aprire in franchising convine.

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Aprire in franchising: come funziona?

Vuoi aprire in franchising e vuoi sapere come funziona, quanti soldi investire e in quali settore? Fare una scelta imprenditoriale giusta comporta una certa strategia di base utile a evitare il tracollo dell’impresa stessa. Dice la legge del franchising, 129/2004 che “il contratto deve espressamente indicare: l’ammontare degli investimenti e delle eventuali spese di ingresso che l’affiliato deve sostenere prima dell’inizio dell’attività”.

Aprire in franchising, quanto costa
Come calcolare l’investimento iniziale? Iniziamo dai costi del franchising che elenchiamo qui di seguito:
1) Fee di ingresso. Si chiama “diritto di ingresso – o fee – una cifra fissa rapportata anche al valore economico e alla capacità di sviluppo della rete, che l’affiliato versa al momento della stipula del contratto di affiliazione commerciale”. La fee di ingresso fa parte dell’investimento iniziale se intendiamo esplicitare con questa voce i costi che sono necessari all’avvio della nostra impresa. Tuttavia è una voce a parte, che per il computo esatto del capitale necessario dovremo calcolare.
2) Royalties, una percentuale che l’affiliante richiede al franchisee sul giro d’affari o una quota fissa indipendente dal fatturato che può essere versata anche in quote fisse periodiche.
3) Investimento fisso. Le spese richieste per l’avvio dell’attività dipendono in parte dalle operazioni legate alla start up di una qualsiasi attività commerciale a altre sono relative proprio al franchising.

Come aprire un negozio franchising
Se non si gestisce l’attività in franchising in nome proprio, bisogna costituire una società di persone o di capitali, operazione che ha un costo. Se non si è proprietari di una location, bisogna tenere presente che è difficile trovare un locale in buona posizione senza dover liquidare chi lo cede, quindi bisogna mettere in conto la cosiddetta “buonuscita” che in alcune occasioni può comprendere anche la cessione della licenza. Le spese per la ristrutturazione del locale saranno direttamente proporzionali: alle condizioni in cui si trova l’immobile al momento del subentro; alle specifiche delle strutture murarie e di impianto elettrico richieste dal franchisor; a eventuali allacci e utenze (nel caso l’attività in franchising richieda un locale); agli adempimenti amministrativi come costi vivi delle documentazioni necessarie, spese per eventuali intermediari delegati a sbrigare le pratiche; a eventuali campagne pubblicitarie e di comunicazione relativa all’inaugurazione dell’attività è tendenzialmente a carico dell’affiliato.

 

 

 

Contratto franchising, gli accordi verbali sono sempre nulli

Abbiamo aderito ad una rete in franchising e, nel quadro di tale adesione, abbiamo concordato con l’affiliante, il quale ha dato la sua espressa approvazione, la localizzazione del punto vendita, in una via centrale città. Il punto vendita in questione è stato arredato le indicazioni dell’affiliante, acquistando presso quest’ultimo scaffali ed addobbi per le vetrine, inoltre abbiamo già ricevuto dallo stesso una prima fornitura di merce. Tuttavia, solo nell’imminenza dell’inaugurazione, l’affiliante ci ha proposto un testo di contratto assolutamente non conveniente, perché recante royalties e spese obbligatorie di pubblicità della rete, che non saremmo in grado di sopportare, soprattutto nel periodo di apertura iniziale. Se non firmiamo il suddetto contratto, l’affiliante ci vieta ogni apertura e ci diffida dall’usare la sua insegna, realizzata a nostre spese, e di vendere la merce fornita con il suo marchio. Cosa posso fare?

Risponde Deborah Licia Musto, avvocato Studio Legale Grassi

È perfettamente coerente con la strategia di mercato del franchising che il franchisor, per rendere omogenea la rete e, soprattutto, riconoscibili dal pubblico i negozi che ad essa appartengono, imponga, ai futuri affiliati, precisi obblighi di arredo del punto di vendita al dettaglio e, in alcuni casi, imponga anche una localizzazione di quest’ultimo in vie primarie. Si tratta, tuttavia, di obblighi negoziali che l’affiliato assume nei confronti dell’affiliante e che, pertanto, ai sensi dell’art. 3, lett. f) L. 129/2004, devono risultare espressamente dal contratto che l’affiliante propone all’affiliato ai fini dell’affiliazione. Conseguentemente, è possibile ravvisare una prima anomalia presente nel rapporto di affiliazione prospettato nel quesito, che l’affiliato potrebbe rilevare ed utilizzare per difendersi. Infatti, le indicazioni riguardanti la localizzazione e l’arredo del punto vendita e le prime forniture di merce presuppongono un contratto di franchising già in essere, che sembrerebbe, quindi, derivare da meri accordi verbali poi concretizzatisi in fatti concludenti posti in essere dalle parti.

Contratto franchising, quello che orale è annullabile

Viceversa, per legge, come è noto, il contratto franchising deve essere redatto per iscritto pena nullità, ai sensi dell’art. 3 n. 1 L. 129/2004, con la conseguenza che l’affiliato potrebbe ottenere la declaratoria di nullità del “contratto orale”, già in essere di fatto tra le parti, per violazione di tale norma e, quindi, chiedere il risarcimento dei danni derivanti da tale nullità, per cause imputabili all’affiliante. Per tutelare la propria posizione, pregiudicata dal comportamento dell’affiliante che, nell’imminenza dell’apertura del punto vendita, lo pone di fronte alla scelta tra firmare un contratto mai visto prima e recante condizioni più svantaggiose, o interrompere qualsiasi attività collegata al rapporto di franchising in essere, l’affiliato deve tenere presente che l’affiliante è gravato dall’obbligo, ai sensi dell’art. 4, L. 129/2004, di consegnare, almeno 30 gg prima della sottoscrizione di un contratto di franchising, copia completa del contratto da sottoscrivere. Conseguentemente, gli adempimenti del contratto franchising (localizzazione del punto vendita, arredo in conformità dell’immagine della rete dell’affiliante, acquisto di prima fornitura), preventivamente posti in essere dall’affiliato ancor prima della sottoscrizione del contratto franchising e prima ancora che il testo del contratto gli venisse consegnato, sono stati ottenuti dall’affiliante in violazione di tale disposizione dell’art. 4 L. 129/2004.

Contratto franchising, la regola del 30 giorni

Il mancato rispetto dei 30 giorni antecedenti alla firma per la sottoposizione del contratto, rafforza ulteriormente il diritto dell’affiliato di ottenere l’accertamento della nullità, per violazione di norme imperative di legge, del contratto verbale che di fatto sta già disciplinando il rapporto economico in base al quale il potenziale affiliato ha scelto il negozio d’accordo con l’affiliante, lo ha arredato secondo le specifiche in conformità alla rete ed ha acquistato, sempre dall’affiliante, sia gli arredi tipici del negozio della rete che la prima fornitura di merce. Come accennato, da tale accertamento di nullità discenderebbe anche l’obbligo, per l’affiliante, del risarcimento del danno subito dall’affiliato, che è parametrabile e, probabilmente, assistito da prove documentali, in base agli investimenti effettuati per avviare l’attività in franchising e non più utilizzabili proprio per la mancata sottoscrizione del contratto scritto a cui si potrebbe anche aggiungere, come effetto conseguente alla nullità del contratto, anche il lucro cessante dell’iniziativa in franchising, dimostrabile sulla base delle eventuali prospettazioni, pubblicizzate dall’affiliante, sui guadagni dell’iniziativa in franchising. Inoltre, ciò che chiaramente emerge dalla questione in esame, è che la proposta di firma del contratto da parte dell’affiliante è caratterizzata dalla minaccia non solo di non instaurare il rapporto di franchising così come risultante dal contratto stesso ma, addirittura, di non continuare il rapporto di franchising già in essere. L’affiliante, infatti, collega alla mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’affiliato il divieto di apertura formale del punto vendita, nonché l’impossibilità di utilizzo dell’insegna e della vendita della merce fornita con il proprio marchio. Tale situazione, oltre a ricollegarsi, abbastanza intuitivamente, alla figura penalistica dell’estorsione, rilevabile d’ufficio anche da una giudice civile, sotto il profilo, appunto, civile configura l’ipotesi scolastica della violenza negoziale, nel quadro di un più generale comportamento doloso dell’affiliante, ossia una forma di coazione della volontà che menoma la libertà di determinazione dell’affiliato. Pertanto, l’affiliato potrebbe far valere le proprie ragioni attraverso un’azione giudiziaria.

Franchising conto vendita: conviene davvero?

Franchising conto vendita, un’espressione che si sente spesso, che attrae e che piace a chi ha deciso di aprire un negozio in franchising, ma che bisogna conoscere bene per non compiere passi falsi. Intanto iniziamo dalla definizione.

Franchising conto vendita, come funziona
Il conto vendita avviene quando uno o più soggetti (privati o imprese) proprietari di beni consegnano a un soggetto terzo (impresa) tali beni per la loro vendita. Quest’ultimo espone i beni e li vende per conto dei primi, incassa il denaro per loro conto ed esegue il rimborso ai singoli proprietari dei beni, trattenendosi una provvigione. Altra forma di commercializzazione in conto vendita è, invece, quella ritenuta più “tipica” identificabile nel “contratto estimatorio”, regolato dall’Art. 1556 e seg. del Codice Civile: “Con il contratto estimatorio una parte (tradens) consegna una o più cose mobili all’altra (accipiens) e questa si obbliga a pagare il prezzo, salvo che restituisca le cose nel termine stabilito”. All’atto pratico, il tradens adempie all’obbligo di consegnare prodotti o merci all’accipiens (che ne è responsabile quale “custode”) il quale, al ricevimento, non è tenuto a pagarne il prezzo, ma vi provvederà (nei termini e con le modalità concordate) al momento della riconsegna dell’invenduto o ad altro specifico momento, come, ad esempio, alla verifica del venduto.

Quindi, ecco le differenza fra il franchising conto vendita e altri tipi di approvvigionamento punto per punto:

  • acquistare la merce da vendere e pagarla dopo la vendita stessa, restituendo quella invenduta, o acquistare la merce e pagarla senza sapere se effettivamente sarà venduta;
  • assumersi il rischio delle rimanenze di fine anno/stagione o non sentire il peso di tale “capitale fermo”. E ciò, non solo per logiche di mercato derivanti dal comportamento del consumatore, ma anche a seguito di valutazioni e scelte sbagliate, anche in termini quantitativi e qualitativi;
  • sulla quantità da acquistare, sui prodotti, modelli, varianti acquistati, e di ritrovarsi molte rimanenze invendute o non avere la necessità di risolvere tali problematiche gestionali;
  • usufruire del rapporto bancario secondo le proprie esigenze e possibilità (finanziando gli acquisti) o dedicare parte delle “concessioni bancarie” al rilascio di una garanzia bancaria che, solitamente, il fornitore richiede per le merci messe a disposizione.

Che tipo di franchising conto vendita?
I contratti sono di tipo estimatori soprattutto nei franchising conto vendita abbigliamento, franchising conto vendita abbigliamento uomo, franchising conto vendita intimo e franchising conto vendita accessori.

Franchising conto vendita a costo zero, quindi? Non propriamente. Ogni contratto di franchising fa storia a sé e bisogna leggere bene le clausole contrattuale per evitare di trovarsi di fronte a catene di Sant’Antonio. Inoltre, bisogna stare attenti alla presenza o meno di clausole “fastidiose”, come quella che impedisce all’affiliato di scegliere gli articoli da vendere, di gestirne le vendite, il riassortimento, la politica delle promozioni eccetera. Il rischi, anche se ci si trova di fronte a franchising conto vendita a costo zero, che ci permette di non avere praticamente giacenze in magazzino, è quello di aprire un negozio e non poterlo gestire, essendo legati mani e piedi al franchisor.