Veneta Cucine: Intervista ad Andrea Giorgini, Direttore Commerciale Estero

Internazionalizzazione Veneta Cucine

IL BRAND: Veneta Cucine è un’azienda familiare con oltre 50 anni di storia, che si è trasformata negli anni da realtà locale a gruppo di livello internazionale diventando la più grande piattaforma italiana di mobili per cucina. Un’eccellenza industriale italiana che si è evoluta nel tempo grazie alla visione illuminata del suo fondatore affiancato dai tre figli. L’azienda ha saputo rinnovarsi nel tempo da un modello di tipo imprenditoriale ad uno manageriale, coinvolgendo un team di manager che sono stati affidati ai diversi ambiti di competenza.

Che cosa vuol dire per Veneta Cucine internazionalizzazione del business e quali sono i mercati a cui guardate con maggiore interesse nel medio e lungo termine?

“Le attività di internazionalizzazione del business implementate da Veneta Cucine riguardano l’ambito del contract e del retail: nel primo caso Veneta Cucine svolge direttamente la ricerca per l’individuazione dei partner più forti e competitivi a livello locale con cui definire accordi strategici oppure, nel caso del retail, l’Azienda gestisce direttamente l’apertura di filiali in territorio estero. Veneta Cucine ha in essere rapporti commerciali in diversi paesi dove gestisce la definizione e la modalità di presenza a seconda del mercato: le aree più importanti sono il Nord America (Canada e USA), la Cina e in Europa i paesi di riferimento sono la Spagna e la Francia, paese dove Veneta Cucine gestisce le commesse più rilevanti per volumi di produzione e prestigio”.

Quali sono i modelli operativi di marketing più efficaci per espandere la vostra presenza sia sul territorio nazionale che internazionale?

“A livello nazionale, prioritaria è l’attenzione al cliente, inteso non solo come consumatore finale ma anche come distributore, che, rappresentando la marca sul territorio, deve ricevere da noi tutti gli elementi necessari a esprimere le qualità di Veneta Cucine. Sul territorio internazionale, l’apertura di Flagship Store Veneta Cucine in posizione di prestigio, rappresenta una strategia diretta e vincente dove il brand è noto e quindi riconoscibile. In altri casi, occorre prima lavorare su attività di relazione con designer e architetti locali che possano veicolare il brand all’interno di importanti progetti di prestigio ed iniziare una collaborazione efficace. A livello nazionale, i valori del brand ovviamente sono gli stessi. Prioritaria è l’attenzione al cliente, inteso non solo come consumatore finale ma anche come distributore, che, rappresentando la marca sul territorio, deve ricevere da noi tutti gli elementi necessari a esprimere le qualità di Veneta Cucine”.

Quali sono i punti di forza del suo brand e quali le caratteristiche di potenziali affiliati?

“Ogni progetto Veneta Cucine è diverso, ogni composizione è unica per misure, materiali e soprattutto grazie al know how industriale sostenuto da continui investimenti tecnologici. Quindi la massima personalizzazione permette di soddisfare le esigenze del mercato in maniera trasversale”.

@Redazione AZ Franchising

 

La penetrazione dell’online sugli acquisti retail

L’eCommerce in Italia supererà i 31,5 miliardi di € nel 2019.

LA PENETRAZIONE DELL’ONLINE SUGLI ACQUISTI RETAIL

La crescita dell’eCommerce è trainata più dagli acquisti di prodotto (+21%) che da quelli di servizio (+7%), con i prodotti che valgono ormai il 55% del totale eCommerce

Nel 2019 gli acquisti online degli italiani continuano a crescere (+15% rispetto allo scorso anno) e superano i 31,5 miliardi di euro. I prodotti, grazie a una crescita del +21% sono pari a 18,2 miliardi, mentre i servizi raggiungono online i 13,3 miliardi di euro (+7%). Fondamentale il ruolo dello smartphone: quasi il 40% del totale eCommerce viene generato su questo canale. Questi alcuni dei dati aggiornati sul mercato eCommerce in Italia, secondo l’ultima indagine dell’Osservatorio eCommerce B2C-Consorzio Netcomm/School of Management del Politecnico di Milano, presentati durante la giornata di apertura della quattordicesima edizione di Netcomm Forum. In particolare, il comparto di Informatica ed elettronica si conferma uno dei più performanti, grazie a una crescita del +18% e un valore complessivo di oltre 5 miliardi di €. Bene anche l’Abbigliamento (+16%, 3,3 miliardi €). Tra i settori emergenti fanno registrare una decisa crescita Arredamento & Home Living (+26%, 1,7 miliardi di €), Food & Grocery (+39%, quasi 1,6 miliardi di €). Nei servizi, il comparto principale rimane Turismo & Trasporti (+8%, 10,8 miliardi di €). La penetrazione dell’online sugli acquisti retail supera nel 2019 il 7% (6% per i prodotti, 11% per i servizi) e si avvicina lentamente ai tassi a doppia cifra fatti registrare dai principali paesi europei (come Regno Unito, Francia e Germania). Secondo recenti stime, rispetto agli altri Paesi europei, l’Italia detiene la quota di popolazione che compra online più bassa in assoluto: solo il 44% degli italiani acquista online, contro il 68% della popolazione europea. Non solo, l’Italia si aggiudica l’ultimo posto anche in termini di competitività nel settore dell’eCommerce. Questo ritardo si può spiegare nella correlazione diretta tra le competenze digitali di un Paese e la competitività delle aziende. Solo il 10% delle imprese italiane, infatti, vende online proprio per la scarsa capacità di applicare le tecnologie disponibili per espandere il proprio business. Gli e-shopper, che hanno esigenze sempre più puntuali e personalizzate, comprano all’estero proprio perché in Italia non trovano un’offerta che risponda in modo efficiente alla propria domanda. “L’eCommerce B2c in Italia è sempre più rilevante: pur rappresentando ancora “solo” il 7% degli acquisti complessivi spiega infatti oltre il 60% della crescita del Retail” afferma Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation – School of Management del Politecnico di Milano. “L’eCommerce è inoltre sempre più percepito come complementare al canale fisico con gli operatori tradizionali che abilitano modelli omni-canale e le cosiddette Dot Com che cercano di stabilire con i clienti un canale di contatto fisico. L’eCommerce gioca poi un ruolo decisivo nel promuovere nuovi modelli di relazione con i consumatori che, pur partendo dall’online, costituiscono un fattore di innovazione che si propaga a tutto il Retail”.

COME ACQUISTANO OGGI GLI ESHOPPER ITALIANI? DUE TREND EMERGENTI TRA I CONSUMATORI

Lo smartphone diventa anche fondamentale della fase di decisione dell’acquisto online. L’analisi di Netcomm in collaborazione con Diennea rivela infatti che E-mail, sms e notifiche via app rappresentano lo strumento più efficace per raggiungere il cliente e fargli fare il primo passo nel processo d’acquisto: il 22% degli acquisti online sono diretta conseguenza di questo strumento di marketing. Il punto vendita fisico mantiene la sua efficacia: la visita in negozio è decisiva per il 18,4% degli acquisti. Dagli insight raccolti dall’indagine netRetail 2019, lo studio Netcomm effettuato in collaborazione con Kantar, emerge inoltre una crescita della fiducia verso i siti di ecommerce.Gli Italiani sono sempre più disponibili a salvare online i propri dati di pagamento per non doverli reinserire in acquisti futuri: il 57% del campione effettua questa scelta se ritiene che il sito di e-commerce sia affidabile.

L’IMPATTO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE SUL RETAIL

Il 2019 è l’anno decisivo per le imprese che intendono investire in tecnologie, consentendo così al sistema italiano di svolgere un ruolo decisivo nella trasformazione digitale in atto, anche a livello internazionale. La svolta è imprescindibile e gli investimenti in formazione per accrescere le competenze digitali nel nostro Paese saranno fondamentali. È sempre più urgente, infine, avviare un piano concreto di definizione e creazione di distretti digitali, affinché l’Italia possa incrementare il suo livello di competitività e di crescita dell’export nell’eCommerce.

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E RETAIL

Il retail è una delle industrie in cui l’impatto dell’applicazione dell’intelligenza artificiale potrà essere più interessante e immediato, proprio perché in grado di avvicinare anche gli utenti finali, nelle loro abitudini quotidiane, alle nuove frontiere dell’innovazione. Non a caso, nel mondo del retail sono già state adottate soluzioni di AI per migliorare la relazione con i clienti, come lo sviluppo appena iniziato dell’uso dei chatbot. I processi di automazione legati alla filiera logistica, ma anche al machine learning e alle analisi predittive sono elementi decisivi per la creazione e il rafforzamento di una relazione sempre più personalizzata tra i brand e i clienti. In un contesto economico nazionale e internazionale, dove il fattore determinante nell’arena competitiva delle aziende è la capacità di garantire un’offerta sempre più personalizzata, le innovazioni che porterà l’AI potranno migliorare la comprensione delle aspettative dei clienti, facilitando la personalizzazione e la product recommandation, rendendo più efficienti i servizi pre e post sale e ottimizzando la supply-chain.

 

@Redazione AZ Franchising

RE/MAX: UNA RETE INTERNAZIONALE

E’ presente in oltre 100 Paesi con più di 8.400 agenzie in cui operano 126.000 consulenti immobiliari affiliati

RE/MAX: UNA RETE INTERNAZIONALE

Intervista a Dario Castiglia, Presidente e Fondatore RE/MAX Italia: “abbiamo rivoluzionato il mondo del franchising immobiliare, abbandonando il vecchio impianto piramidale che fa discendere ruoli e compiti in modo verticale a favore di un più moderno modello circolare, basato sul modello dello Studio Associato”

Premiata da Assofranchising con l’Italian Franchising Award 2018 per essere stata la Rete in franchising con la maggior crescita in Italia e riconosciuta da Federfranchising come il Miglior master franchisee in Italia, RE/MAX si conferma, sia per gli operatori del settore sia per il cliente, il miglior brand in franchising del settore immobiliare in cui lavorare e a cui affidarsi per comprare o vendere un immobile. Fondata nel 1973 da Dave e Gail Liniger, RE/MAX approda in Italia nel 1996 grazie alla lungimirante vision di Dario Castiglia, tutt’oggi alla guida del network immobiliare. Anno dopo anno RE/MAX, rafforza sempre di più la sua presenza a livello mondiale, dove oggi è presente in oltre 100 Paesi con più di 8.400 agenzie in cui operano 126.000 consulenti immobiliari affiliati. Nel 2018 RE/MAX Italia (www.remax.it) ha registrato un incremento del 32% del fatturato aggregato, superando i 66.6 milioni di euro, ha aumentano la sua capillarità sul territorio con l’apertura di 107 nuove agenzie, e a breve ne aprirà altre 100 circa, superando i 460 uffici aperti e ha siglato ben 120 nuovi contratti franchising. “Sono sempre di più gli imprenditori che scelgono RE/MAX – afferma Dario Castiglia, Presidente e Fondatore RE/MAX Italia – ed il suo modello di business, che basa la sua forza sulla formula dello studio associato e sulla collaborazione tra professionisti, per aprire la loro impresa e offrire ad un sempre maggior numero di professionisti la possibilità di operare in una squadra vincente”.

Che periodo sta vivendo il mercato immobiliare? Quali sono i numeri del settore?

“Stiamo sicuramente assistendo ad una ripresa del mercato immobiliare residenziale in Italia, per il quinto anno consecutivo il mercato immobiliare residenziale si è chiuso con un segno positivo. Il 2018 si è chiuso con un rialzo del numero di compravendite del 6.5% rispetto l’anno precedente, per un totale di quasi 580mila transazioni – il dato più alto dal 2010 ad oggi -. L’incremento delle compravendite è stato più elevato nel Nord Est (+10,2%); seguono le Isole (+7,7%), il Centro (+6,4%), il Nord Ovest (+5,6%) e il Sud (+3,8%). In lieve calo le compravendite di abitazioni in nuda proprietà (-0,4%), soprattutto al Sud, dove il calo è stato più marcato (-6,6%). L’anno si è chiuso con una stima complessiva di fatturato pari a 94,3 miliardi di euro. I dati del primo trimestre 2019 confermano un proseguimento del trend positivo, con un aumento delle compravendite residenziali pari all’8.8% rispetto allo stesso periodo del 2018. Il numero di scambi nel periodo gennaio-marzo ha toccato quota 138.525. In particolare, il Nord Est (+11,8%) ed il Centro (+10,7%) si confermano le due aree con il più alto tasso di crescita delle compravendite. Significativo anche il tasso registrato nel Nord Ovest (+9,6%), dove si concentra quasi il 35% del mercato nazionale, mentre tassi inferiori si registrano nel Sud (+4,8%) e nelle Isole (+3,3%)”.

Cosa rappresenta il franchising per il vostro brand? Perché la scelta di svilupparsi in rete?

“Il franchising rappresenta un’opportunità di business, per noi, ovviamente, ma soprattutto per i broker delle agenzie a noi affiliate a cui offriamo un progetto testato e vincente, e a cascata anche per i loro affiliati che possono operare nel settore immobiliare da liberi professionisti ma con costi di gestione inferiori e contenuti, facendo parte di uno studio associato. Siamo una rete internazionale; nel mondo RE/MAX è presente in oltre 100 Paesi e sono più di 126mila i professionisti che hanno scelto di affiliarsi al nostro brand. I vantaggi? Molteplici. Lavoriamo in sinergia e collaborazione con la casa madre RE/MAX LLC, con sede a Denver, e con la sede Europea di RE/MAX. Vi è condivisione di progetti e obiettivi, e poter avere una visione internazionale ci ha resi, anche in Italia, un network all’avanguardia in continua crescita e che risulta avere una grande attrattiva verso un sempre maggior numero di imprenditori e professionisti”.

Quanto ha influito l’evolversi della tecnologia nel vostro settore. Che posto occupa on line?

“RE/MAX è sinonimo di innovazione tecnologica. Fin dai primi anni di attività RE/MAX ha garantito standard tecnologici elevati e pionieristici per il settore. È stata, infatti, la prima organizzazione immobiliare ad avere un proprio sito web a livello mondiale che permette, anche oggi, agli oltre 126.000 agenti nel mondo di offrire ai loro clienti un servizio di alta qualità ed efficienza. RE/MAX ha sviluppato e importato in Italia il sistema MLS – Multiple Listings Service, un database condiviso che raccoglie dati e immagini di tutti gli immobili disponibili presso le filiali del Gruppo, in Italia e all’estero – oltre 34.000 immobili sul territorio italiano e più di 4.000.000 nel mondo – in totale condivisione tra tutti gli agenti RE/MAX al mondo. L’esclusivo sistema MLS incrocia domanda e offerta e facilita la collaborazione a livello locale, nazionale e internazionale, garantendo uno scambio fluido di informazioni tra chi compra e chi vende, e velocizzando in questo modo i tempi di compravendita dell’immobile. Marketing e tecnologia rappresentano senza dubbio un connubio vincente per posizionarsi e rendersi visibili nel vasto panorama immobiliare. Il cliente visita le nostre proposte, comodamente e ovunque si trovi con qualsiasi device. L’immobile in vendita viene automaticamente pubblicizzato nei siti RE/MAX in tutto il mondo e reso accessibile ai visitatori con il dettaglio delle principiali caratteristiche, la posizione geografica sulle mappe e le migliori immagini, sia statiche che dinamiche, grazie al sistema di virtual tour che offre una panoramica a 360° dell’immobile e permette al cliente di effettuare una visita preliminare e virtuale all’interno dello stesso, comodamente da casa. Tecnologia per noi è sinonimo di condivisione e collaborazione”.

L’evolversi dei soggiorni brevi e degli affitti brevi ha modificato il vostro mercato. Come siete organizzati per fronteggiare il fenomeno?

“I professionisti immobiliari affiliati a RE/MAX si occupano principalmente di compravendite immobiliari, solo una piccola percentuale degli immobili residenziali presenti nel nostro portfolio è in locazione. Per questo non riteniamo che gli affitti brevi possano intaccare il nostro business”.

Quali sono le caratteristiche dei vostri potenziali affiliati e perché affiliarsi a RE/MAX?

“Il modello RE/MAX, strutturato come uno studio associato, permette di creare economie di scala e assicura agli agenti strumenti tecnologici e di marketing all’avanguardia oltre ad un portafoglio di immobili già disponibili, anche a livello internazionale, che aiutano i nuovi affiliati fin dalla fase di start up a creare un’attività di successo. Non siamo unici come network immobiliare, ma siamo unici per quello che facciamo e per quello che offriamo ai nostri affiliati. Abbiamo fatto tanta strada in questi anni, ma non per questo la consideriamo conclusa. Abbiamo affrontato numerose sfide, ponendoci a volte anche degli obiettivi ambiziosi, che ci hanno portato oggi ad occupare una posizione di rilievo nel mercato immobiliare. Molte cose sono cambiate in 45 anni, e noi siamo sempre stati al passo con i cambiamenti del settore, ma ciò che non è cambiato è il nostro principio di base: attrarre i migliori agenti e broker, e supportarli in modo che possano fornire un ottimo servizio ai loro clienti. RE/MAX ha rivoluzionato il mondo del franchising immobiliare, abbandonando il vecchio impianto piramidale che fa discendere ruoli e compiti in modo verticale a favore di un più moderno modello circolare, basato sul modello dello Studio Associato. Ad un unico Franchisee (Broker) centrale fanno capo i Consulenti Immobiliari, collaboratori che partecipano a costi e ricavi in modo uguale e trattengono la maggior parte delle provvigioni in rapporto ai propri risultati. I nostri Broker/Franchisee sono degli imprenditori a tutti gli effetti, scelgono di aprire un’agenzia RE/MAX in totale autonomia, contando però su due grossi elementi: la propria motivazione e spirito di iniziativa, da un lato, e il supporto a 360 gradi di RE/MAX dall’altro, ogni affiliato ha a disposizione una quantità di servizi concreti che facilitano e valorizzano il suo lavoro e promuovono l’immagine del singolo affiancata a quella del brand. Pur essendo autonomo e indipendente, il Broker è supportato dal network RE/MAX in ogni momento: nel processo di reclutamento, nella gestione dell’agenzia, nelle infrastrutture IT, nell’amministrazione, e negli investimenti di Marketing. Il Broker a sua volta motiva i Consulenti e fornisce loro servizi amministrativi, opportunità di formazione, strumenti innovativi e pianificazione del business. La forza del nostro gruppo è il sistema operativo delle nostre agenzie, quello dello studio associato che ci sta portando ad avere agenzie immobiliari di grandi dimensioni, non solo dal punto di vista dei metri quadri occupati dagli uffici ma proprio per l’alto numero di consulenti che vi operano all’interno, abbiamo molte agenzie che superano i 30, 40, 50 ed anche 60 affiliati ed una in Sicilia che ha da poco raggiunto quota 150 consulenti e che siamo certi continuerà a crescere. L’affiliato ideale? Colui o colei che mette serietà, impegno, passione, dedizione e accuratezza in quello che fa e a tutto questo aggiunge la giusta ambizione per raggiungere il successo”.

 

@Redazione AZ Franchising

SOLO AFFITTI: QUALITA’ E INNOVAZIONE

Solo Affitti: un’azienda compatta che ha trovato nuove soluzioni per ampliare il business

Intervista a Silvia Spronelli, Ceo di Solo Affitti: “Siamo decisi a raddoppiare la nostra presenza sul territorio, aprendo altri 300 punti vendita nei prossimi 5 anni, e portando a 600 le agenzie attive in Italia. Da un paio di anni abbiamo anche lanciato il progetto Solo Affitti Brevi, sviluppando una rete di 67 partner esperti nelle locazioni turistiche”

 

 

Solo Affitti è il franchising immobiliare specializzato nelle locazioni, con oltre 20 anni di esperienza e la leadership indiscussa in questo settore, grazie alle 300 agenzie presenti su tutto il territorio nazionale. Il fatturato aggregato delle agenzie Solo Affitti è di 30 milioni di euro nell’ultimo anno. In 22 anni di storia, invece, sono oltre 1 milione i contratti d’affitto gestiti e 400 mila i proprietari di casa assistiti nella selezione degli inquilini. Inquilini altamente referenziati e selezionati, che con un tasso di puntualità di pagamento del canone del 94% sono tra i più affidabili in un mercato dove oggi i proprietari hanno più che mai necessità di sicurezza e professionalità. Chi lavora in Solo Affitti, infatti, non è un semplice agente immobiliare, ma un manager degli affitti che sa offrire le migliori soluzioni per chi cerca immobili in locazioni e valorizzare l’investimento dei proprietari garantendo direttamente il regolare pagamento del canone di affitto.

Abbiamo intervistato Silvia Spronelli, Ceo di Solo Affitti

I mutamenti del mercato hanno determinato anche un evolversi della vostra realtà. Quali sono i segreti per essere leader del settore?

“Il mercato della locazione ha subito un forte aumento nel numero di transazioni condotte sul mercato residenziale. I dati ufficiali, quelli dell’Agenzia delle Entrate, segnalano circa 300.000 contratti registrati in più tra il 2011 e il 2017, giungendo a ben 1,7 milioni di nuovi affitti stipulati ogni anno. Un mercato che assume proporzioni, in termini di numero di scambi, pari a tre volte quello delle compravendite, in leggera ripresa negli ultimi anni ma che, con circa 550.000 affari gestiti, appare ancora lontanissimo dalle 870.000 transazioni del 2006. Negli ultimi anni la famigerata crisi ha colpito duramente il mercato immobiliare… ad essere sinceri è proprio da lì che è partita. In anni così difficili abbiamo imparato a sfruttare nuove opportunità, a puntare sulla qualità e sull’innovazione per offrire servizi esclusivi, utili e originali. Sarà stato anche questo il segreto del successo della nostra rete che è rimasta compatta e ha saputo trovare nuove soluzioni per ampliare il business, valorizzando l’esperienza e capitalizzando nuove idee e nuove risorse”.

Che posto occupa il franchising per il vostro brand. Quali sono i vantaggi di espandersi a rete?

“Credo che la chiave di successo della formula franchising risieda soprattutto nella collaborazione e in particolare nella volontà di stare insieme condividendo un’idea, un modello di business, un’organizzazione e accettando di essere rappresentati e identificati dallo stesso marchio. Il nostro, esplicativo e chiaro già nel nome, Solo Affitti, raggruppa agenti immobiliari che hanno individuato nella specializzazione un modo originale e vincente per distinguersi nell’affollato mercato immobiliare. Per sostenere la scelta di specializzazione abbiamo puntato, sin dall’inizio, sulla professionalità e competenza in materia, andandoci a distinguere e creando una figura professionale di Manager degli affitti, specializzato nelle locazioni, bene identificato e riconoscibile. Ecco, tra i vantaggi inclusi nello scegliere la formula del franchising c’è quello di saltare, se così vogliamo dire, la fase di start up e poter essere da subito riconoscibile e noto. Per questo la formula in franchising rappresenta un investimento sicuro: per usare una metafora, potremmo dire che se attualmente l’apertura di un’attività imprenditoriale in forma individuale è un salto nel vuoto, aprire in franchising è come gettarsi indossando il paracadute; ovvero riducendo al minimo i rischi d’impresa”.

Quali tipologie di immobili sono più adatte alla vostra idea di franchising?

“Il nostro franchising prevede l’apertura di un’agenzia monomarca all’interno di un classico negozio con vetrina fronte strada. Un’agenzia immobiliare che possa presentare al meglio, attraverso foto e adeguata descrizione, le varie tipologie di immobile che si possano affittare; all’interno poi ci sono almeno due scrivanie con personale preparato, pronto ad accogliere i clienti e soprattutto ad ascoltare le specifiche esigenze di ogni persona. Il nostro franchising prevede anche l’opportunità di aprire un corner Solo Affitti all’interno della propria agenzia immobiliare “tradizionale”. Anche in questo caso sarà necessario dedicare una vetrina agli annunci di immobili in affitto, identificare lo spazio con logo e colori dell’azienda. Ma più di ogni cosa teniamo al fatto che ci sia una parte del personale dedicata e preparata nello specifico sul tema delle locazioni e che possa, esattamente come in un’agenzia monomarca, fornire ai clienti il giusto supporto tecnico, normativo, fiscale”.

Tecnologia e mercato immobiliare. Quale la connessione e quali le novità per fronteggiare la nascita di sempre e nuovi metodi digitali?

“Ci sono, nella nostra vita privata come lavorativa, alcuni importanti momenti nei quali vogliamo o dobbiamo cambiare. A volte si tratta di grandi mutamenti, altre volte più piccoli ma non meno importanti, come la modifica di un atteggiamento.
La nostra storia come Franchising immobiliare è corsa parallela a quella della diffusione della rete internet e all’avanzare dell’uso della tecnologia. Oggi scrivere un messaggio è un gesto normalissimo, così come fare una telefonata. Eppure non è passato poi molto tempo da quando questo sistema di comunicazione neppure esisteva! Come si vivono questi mutamenti? Un appassionato di golf direbbe che è come stare sul tee (il punto di partenza) della buca numero 1, da dove si vede lontanissimo l’obiettivo: una buca distante 300 metri e segnalata da una bandiera che si muove nel vento, nella quale devi infilare una pallina più piccola di un uovo, colpendola con un bastone non più di 4 o 5 volte. Se tutto va bene e riesci ad infilare la palla nella buca, hai raggiunto solo il primo traguardo e te ne restano altri 17, a volte più difficili del primo, da conseguire per centrare il tuo obiettivo. Ma il cambiamento è indispensabile per evitare di estinguersi, come i dinosauri si sono estinti. Un bel sito internet è indispensabile… come una bella vetrina. Il web è fondamentale: dedicare budget pubblicitario ai portali immobiliari anziché al cartaceo è un caposaldo del mercato della locazione. Interattività significa passare all’utilizzo della pagina Facebook quotidianamente (e professionalmente!) gestita per essere interattivi e mantenere un legame costante con la propria clientela. Clientela che, contrariamente che per la compravendita, nell’affitto è fidelizzata e si basa su un legame duraturo. Ebbene, la fidelizzazione può passare anche dall’online. Come? Con una newsletter professionale nella quale parlare del mondo immobiliare; con un blog con cui creare interesse e dimostrarsi un professionista preparato e aggiornato, oltre che con una pagina Facebook / profilo Twitter tramite i quali farsi conoscere, veicolare i contenuti del blog e proporre gli annunci immobiliari. A tutto questo si aggiunge, poi, la necessità di essere sempre al passo con le novità e Solo Affitti in questo non ha rivali: il nostro è stato il primo network del mondo immobiliare ad utilizzare le tecniche del funnel marketing per la generazione di contatti di potenziali clienti per le agenzie affiliate. Tutti strumenti, questi, più graditi di quanto si potesse immaginare qualche tempo fa”.

Quali sono le caratteristiche del vostro franchisee tipo? In che modo supportate i franchisee?

“Anche nel mondo immobiliare la professione dell’agente immobiliare è profondamente cambiata: nuovi strumenti, la rivoluzione di internet, l’invadenza dei social. Sono tanti i fattori che hanno portato gli agenti immobiliari, quelli “sopravvissuti”, a rimettere in discussione il metodo di lavoro, l’approccio al cliente, le tecniche di negoziazione. Avendo scelto la specializzazione, gli agenti Solo Affitti hanno da sempre preferito uno stile più da consulenti: preparazione, aggiornamento e relazione contraddistinguono gli specialisti dell’affitto. Tanto che la professione di agente immobiliare Solo Affitti è diventata, oggi, quella di un manager degli affitti, sicuri. Chi è il manager degli affitti? È una persona intraprendente ed ambiziosa, con spiccate doti commerciali e relazionali, che cerca una nuova professione, la professione del futuro. È l’evoluzione del classico agente immobiliare, un agente immobiliare altamente qualificato, specializzato nel business degli affitti (residenziali, commerciali e affitti brevi); un consulente tecnico e finanziario; un esperto di strumenti web e digitali, un comunicatore. Si tratta di un professionista capace di distinguersi sul mercato anche grazie ai prodotti che la casa madre gli mette a disposizione. Fra questi, ricopre un ruolo fondamentale il nostro esclusivo sistema di garanzie sulla locazione, che va sotto il nome di affitto sicuro. Con affitto sicuro i nostri manager degli affitti sono in grado di garantire ogni contratto di locazione contro il rischio di morosità dell’inquilino con una formula che sul mercato non ha eguali: se l’inquilino non paga, infatti, è direttamente la casa madre di Solo Affitti a intervenire per avviare l’azione di sfratto e rimborsare il proprietario dei canoni non ricevuti. Insomma, il manager degli affitti è la professione del futuro, per chi vuole mettersi o rimettersi in gioco e fare del proprio lavoro una professione molto soddisfacente. Solo Affitti Academy è l’esclusiva scuola di formazione dedicata ai Manager degli affitti. Un percorso di apprendimento che parte dal corso base, procede con i seminari di approfondimento specialistici, attraversa competenze trasversali (come tecniche di negoziazione, public speaking e persuasione) e arriva a creare consulenti di grande spessore”.

Quali sono i vostri piani di sviluppo della rete a breve e medio termine?

“Siamo decisi a raddoppiare la nostra presenza sul territorio, aprendo altri 300 punti vendita nei prossimi 5 anni, e portando a 600 le agenzie attive in Italia. Da un paio di anni abbiamo anche lanciato il progetto Solo Affitti Brevi, sviluppando una rete di 67 partner esperti nelle locazioni turistiche. Gli intermediari specializzati nelle locazioni di durata inferiore ai 30 giorni quest’anno cresceranno di altre 40 unità, portando a 107 il numero totale di agenti attivi in questo business”.

 

@Redazione AZ Franchising

Caffetterie, un settore in costante evoluzione

Caffetterie a marchio, per le torrefazioni è un business

Crescono le catene di locali “a base” caffè create dalle principali aziende di torrefazione italiane, che puntano soprattutto sui mercati esteri, dove sono presenti colossi come Starbucks, Costa Coffee e McCafè di McDonald’s. Un fenomeno, quello delle caffetterie a marchio, che sta caratterizzando tutta Europa

È il grande momento del caffè, non solo dal punto di vista del prodotto, ma anche di tutto ciò che gli ruota attorno. Le caffetterie a marchio rappresentano il fenomeno più evidente. Da una parte abbiamo le insegne storiche del settore, come Starbucks, che dopo anni di tentennamenti è giunta in Italia con un ambizioso progetto di sviluppo, Costa Coffee e McCafè, il brand di McDonald’s che sta crescendo in maniera esponenziale nel nostro Paese. Dall’altra, le torrefazioni di casa nostra, che da qualche anno si sono lanciate nel settore della ristorazione commerciale moderna con marchi propri, con l’obiettivo di esportare all’estero il rito dell’espresso italiano e, più in generale, il made in Italy agroalimentare. Ma il fenomeno delle caffetterie a marchio non è una peculiarità solo italiana.

Caffetterie, un settore in costante evoluzione

In Europa, in base al rapporto “Project Café Europe 2019” di Allegra World Coffee Portalle caffetterie di marca hanno superato i 33mila punti vendita nel 2018, con una crescita annua del 6%, ed entro il 2023 raggiungeranno la cifra di 42mila locali.

Per quanto riguarda le insegne più diffuse, secondo Allegra, Costa Coffee, Starbucks e McCafé detengono quasi un quarto della quota di mercato europea dei coffee shop di marca. In particolare, Costa Coffee, recentemente acquisita da Coca-Cola, è la più grande catena europea di caffetterie a marchio, con una quota di mercato dell’8,7% con 2.923 negozi presenti in 12 mercati nazionali. Il secondo maggiore operatore, Starbucks, ha circa 2.600 punti vendita, ma è presente nel doppio dei Paesi europei rispetto al leader del mercato. Al terzo posto, McCafé (concepito come corner caffè in affiancamento ai classici Mc Donald’s), con 2.376 punti vendita in 17 mercati nazionali, con una quota di mercato del 7 per cento.

Una tradizione forte da contrastare

Per quanto riguarda l’Italia, sempre secondo il report di Allegra, è l’unico Paese in Europa in cui la maggioranza dei leader del settore ritiene che la tradizionale cultura del caffè impedisca la crescita delle catene di caffetterie a marchio. Questo è parzialmente vero, visto che, come abbiamo sottolineato in precedenza, Starbucks ha posto le base per un rapido sviluppo e McCafè, con 380 locali, è leader nazionale. A questo si deve aggiungere il fenomeno delle caffetterie di proprietà delle aziende di torrefazione.

I nuovi orizzonti per le caffetterie

Lavazza, ha annunciato, in anteprima a Food Service, il lancio di un nuovo format con l’apertura di 200 localiMassimo Zanetti Beverage Group, che è presente all’estero con 400 locali in franchisingPascucci, un “piccolo” Starbucks, pioniere del  settore, che ha creato le caffetterie a marchio nel 1999 e ha appena inaugurato un punto vendita in GroenlandiaManuel Caffè, che di recente ha inaugurato un locale, denominato Spazio Gourmet, a Sarajevo; McCafè, marchio di McDonald’s, che abbiamo voluto inserire in questa panoramica perché è leader in Italia ed ha un approccio orizzontale, integrato ai ristoranti McDonald’s, rispetto alla “verticalità” delle torrefazioni, che seguono tutta la filiera, dalla materia prima alla somministrazione.

Fonte:FoodService

Il Dettaglio Tradizionale E’ In Crisi A Favore Del Franchising

L’Osservatorio periodico Confimprese, in una nota, segna 50 nuovi punti vendita in arrivo a Bologna e nelle altre principali località della regione con una ricaduta occupazionale di 556 nuove risorse. Il delta sul 2017 evidenzia una crescita del + 25% delle aperture e del +46% in termini di nuova occupazione. Lo scenario attuale, spiega sempre la nota, sottolinea il perdurare della crisi del dettaglio tradizionale a favore del franchising che, grazie alla sua formula autoimprenditoriale, stimola nuove aperture. Food e fashion si confermano settori cardine dello sviluppo con rispettivamente 23 e 10 nuovi store. Avanza anche l’immobiliare, grazie alla ripresa del mercato, con 13 nuove agenzie.

Fiori e piante, il franchising oasi in un mercato in difficoltà

Non benissimo il mercato del fiore. Negli ultimi anni il settore dei fiori ha risentito in misura evidente della minore disponibilità di spesa delle famiglie italiane. A partire dal 2009, la domanda di fiori recisi, così come di piante, alberi e arbusti, ha cominciato a flettere: tra il 2008 e il 2010 la diminuzione per la spesa totale è stata del 6%, mentre per i fiori recisi è stata del 7%. Nel 2011 si è registrato un lievissimo aumento tendenziale della spesa complessiva di fiori e piante (+1,7%), dovuto probabilmente ad incrementi di prezzo applicati dagli operatori al dettaglio.

Nel 2012 si è registrata nuovamente una diminuzione del 5% (-4,8% per i fiori), che si è ripetuta, anche nel 2013. Dal 2014 si cominciano a vedere i primi segnali di ripresa. ll 46,2 per cento degli italiani ha in casa fiori o piante da curare nel balcone e nel giardino con un aumento della percentuale al 50,8 per cento tra gli under 34 anni. A dirlo la Coldiretti/Censis in una nota divulgata durante il periodo di Expo Milano 2015. Il fiore, dice la Coldiretti, ha una diffusione trasversale tra uomini e donne, copre tutte le fasce di età e tutti i territori di residenza anche se dall’analisi emerge che ha il pollice verde oltre il 47,5 per cento degli uomini a fronte del 43 per cento delle donne.

La propensione positiva degli italiani nei confronti dei fiori è confermata dal fatto che – sostiene Coldiretti – nove italiani su dieci sostengono che la loro presenza in casa dia piacere. L’Italia è leader nella produzione di piante e fiori in Europa. Un giardino che copre oltre 30.000 ettari di terreno che si estendono dal sud al nord e dalla pianura, alla collina, fino alla montagna. Il florovivaismo italiano vale oltre 2,4 miliardi di euro e conta oltre 30mila aziende agricole che garantiscono occupazione ad oltre 100mila persone. A pesare sul settore è anche la piaga del commercio abusivo di fiori recisi e di piante in vaso. Nonostante il primato italiano in Europa le importazioni di fiori e piante sono aumentate del 7 per cento nei primi sei mesi del 2015.

Il franchising potrebbe rappresentare un’ottima valvola di sfogo per i tanti fiorai in difficoltà grazie alle proprietà intrinseche dell’affiliazione che abbatte i rischi di impresa

Vegan, mercato da oltre 300 milioni di euro

Una mattina l’Italia si alzò e si scoprì vegetariana. E il franchising, come al solito, fiuta l’affare. Secondo i dati del rapporto 2016 del centro di ricerche Eurispes, gli italiani vegetariani e vegani aumentano al ritmo di 1.600 al giorno. Erano il 6% nel 2013. Sono diventati il 7,1 nel 2014. E l’8% nel 2015 (di questi, il 7,1 per cento è vegetariano mentre lo 0,9 è vegano, e quindi rifiuta anche i cibi che contengono derivati di origine animale). Una moda che si sta trasformando in fenomeno di massa: in soli 365 giorni un 2,3 per cento in più degli intervistati dall’Eurispes avrebbe imboccato il sentiero salutista. Probabile che a incidere sia stato anche l’allarme lanciato lo scorso ottobre dall’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, sulla cancerogenicità di carne rossa e insaccati. Sta di fatto che in Italia i consumi di carne diminuiscono al ritmo del 5 per cento ogni anno, mentre contemporaneamente aumentano le vendite dei prodotti legati alla tavola vegetariana. Le bevande sostitutive del latte (alla soia, al riso, alla mandorla) sono cresciute del 17% nel 2015, e perfino aziende sinonimo di latte come Granarolo lanciano linee di sostituti vegetali del latte, ma gli incrementi a doppia cifra riguardano anche i formaggi di soia (24%) o le zuppe di verdura pronte (38%). Nei supermercati il fatturato annuo generato dalla vendita di prodotti a base vegetale cresce e vale ormai 320 milioni di euro. A questo si aggiunga un sentiment positivo nei confronti degli animale: l’80,7% degli italiani è contrario alla vivisezione (-7% rispetto al 2015) e il 68,5% alla caccia (-10%). Stessa tendenza per la produzione di pellicce, per cui la quota dei contrari scende all’86,3% (-4% circa). Aumenta chi vorrebbe abolire la pratica di utilizzare animali nei circhi (dal 68,3% al 71,4%) e negli zoo (dal 53% al 54,9%), ma calano i contrari ai delfinari (dal 64,8% al 56,3%). Cresce di 12 punti la percentuale di chi vorrebbe accoglienza per gli animali da compagnia nelle strutture alberghiere (68,5%) e di ben 13 punti il numero di chi è d’accordo sull’accesso degli animali in luoghi pubblici (69,1%).

E ancora: il 22,5% ha un animale da compagnia, il 9,3% ne ha due, il 4,1% ne ha tre e il 7,4% dichiara di averne più di tre. Il miglior amico degli italiani resta il cane (60,8%) seguito dal gatto (49,3%). Con grande distacco troviamo pesci e tartarughe (entrambi all’8,7%), uccelli (5,4%), conigli (5,2%), criceti (3,1%) e animali esotici (2,1%). La maggioranza (38,6%) di chi ha un animale riesce a non oltrepassare la media dei 50 euro mensili per i pet e più del 35% contiene le spese sotto i 30 euro al mese. Solo il 19% spende fino a 100 euro mensili per cibare, tenere pulito o curare il proprio animale. Una minoranza coloro che possono permettersi di spendere ancora di più: il 4,3% che dedica al proprio pet un budget da 101 a 200 euro mensili, l’1,6% fino a 300 euro e un esiguo 1,4% che affronta una spesa di oltre 300 euro mensili.

Ormai l’Italia contende alla Germania il primato di Paese più vegetariano dell’Ue. Hanno una percentuale di vegetariani compresa tra il 7 e l’11% anche Svezia e Austria, seguite a discreta distanza da Russia, Usa, Francia, Spagna, Giappone e Cina, tra il 2 e il 4%.

Riflessi sul business e sul franchising

La moda del vegetarismo ha riflessi sul lato del consumi. Solo nei supermercati i prodotti a base vegetale toccano – come detto sopra – i 320 milioni di euro. Anche la ristorazione si è accorta della tendenza. Nel franchising italiano s’impongono catene come Veggie Days e Universo Vegano, si moltiplicano le pasticcerie e le gelaterie vegane, mentre sempre più catene del food in franchising stanno inserendo nei loro menu piatti vegetariani e vegani. Guardando al mondo, la catena di supermercati inglesi Sainsbury’s ha inserito in alcuni dei suoi prodotti la frase – d’oro per gli affari, a quanto pare – “adatto ai vegetariani”. La rete di fast food messicano di origine statunitense Chipotle ha lanciato i burritos senza derivati animali. Il rapper Lil B – che per sua stessa ammissione non è vegano – e la cantante Beyoncé hanno dato vita a vegEMOJI, un’app in cui le emoticon che usiamo nei messaggi di testo sono declinate in versione vegetariana: niente più animali e galline, ma broccoli e insalata. E anche uno dei marchi più famosi al mondo della birra, Guinness, ha annunciato – dopo 265 anni vita – di rinunciare a tutti gli ingredienti di origine animale, come per esempio il sistema di filtraggio a base di colla di pesce. D’altra parte, le pressioni sulle multinazionali del retail food sono sempre di più. Sul sito Change.org – famoso per dar vita a campagne pubbliche e raccolte di firme digitali sulle tematiche più svariate – una recente iniziativa che chiedeva a Wendy’s, rete di fast food in franchising, di inserire nel menu panini vegani ha raccolto più di 13.000 firme in poche ore. Wendy’s sarebbe solo l’ennesimo fast food a “cedere” alla moda vegetariana visto che Subway e Burger King hanno già provveduto a inserire nel menu panini e piatti “verdi”. Cento mila, invece, le firme raccolte per lo stesso obiettivo in un invito rivolto, questa volta, a McDonald’s (che in Italia ha lanciato McVeggie, più una intera linea vegetariana.

In Italia la catena di supermercati CRAI ha lanciato CRAI Bio. “Con la linea di prodotti biologici, CRAI si occupa di una categoria sempre più ampia di consumatori esigenti, informati e poco omogenei per scelta di consumo alimentare. Dagli amanti della dieta mediterranea ai vegani, a chi ama il gusto e ha a cuore la cura dell’ambiente, CRAI Bio potrà soddisfare tutte le sfumature di gusto a tavola” dicono dalla casa madre. Un’altra catena di ristorazione – 100 Montaditos, casual food di ispirazione spagnola – ha integrato nel menu piatti vegetariani fino a contare oggi 5 montaditos, i classici panini della Spagna, adatti ai vegetariani.

Gelaterie, mercato saturo dove il franchising vale 250 milioni

Gelato, un fenomeno che ha passato indenne la grande recessione del 2007-2012. In questi cinque anni, la crescita è stata infatti del 5,6 per cento. Altri numeri, quelli di Confartigianato e Cna: con 6 chili di consumo procapite di gelato – pari a 380mila tonnellate e 8 litri di miscela -, l’Italia si posizione fra i paesi che mangiano di più gelato. Certo, non esageriamo. Basti pensare che gli statunitensi ne divorano letteralmente 21 litri, i neozelandesi fanno meglio con 28 litri. Nel 2013 la spesa delle famiglie italiane per comprare coni, coppette e vaschette ha raggiunto i 2.026 milioni di euro, con una crescita dell’1% rispetto all’anno precedente. Il gelato industriale, l’altra grande branchia di questo settore, è presente addirittura nel 70 per cento dei frigoriferi italiani. Certo, la crisi degli anni passati – con la lunga coda che arriva fino a oggi – ha ridotto il ritmo di crescita di alcune porzioni del mercato, ma, rispetto ai segni “meno” degli altri comparti merceologici, possiamo ben dire che la recessione, qui, non c’è stata. Se scaviamo, possiamo intuire qualche trend importante. Per esempio, crescono il multipack e i gelati da asporto, come le vaschette. Diminuisce l’acquisto di impulso. In aumento del 2% i punti vendita: le gelaterie, ma anche altri esercizi che distribuiscono gelato come pasticcerie, bar, ristoranti, sono oltre 41mila e fanno dire agli che il mercato nazionale è ormai saturo (l’incidenza delle gelaterie artigiane sulla popolazione è pari a 62 aziende ogni 100mila abitanti). Le sole gelaterie “pure” sono fra le 12mila e le 19mila a seconda di quale studio si prende in considerazione (per intenderci, una gelateria ogni 1.600 italiani circa). Gli addetti si stimano in oltre 150mila. Importante anche il valore degli acquisti dei produttori del settore gelato artigianale per l’industria agroalimentare: nel 2013 sono state comprate, per esempio, 220mila tonnellate di latte. Il business del gelato artigianale, secondo l’Associazione italiana gelatieri, mette in moto un indotto di 50-60mila addetti e alimenta una filiera (compreso le macchine per il gelato, i banchi frigo, le materie prime) che vale circa cinque miliardi di euro, e che fa dell’Italia il paese leader mondiale del settore. Un settore dunque di tutto rispetto, che ora sta cercando canali di espansione all’estero. Nel 2015, sempre secondo le stime Aig, l’export di gelato italiano ha segnato un +8%, col traino dei Paesi arabi che assorbono il 30 per cento. A Milano la crescita delle imprese in un anno è stata di ben il 6%, mentre tutta la regione segna un positivo +1,7%. In termini numerici, in Lombardia hanno sede circa 3 mila imprese di gelato (di cui un terzo a conduzione femminile). A Roma invece le gelaterie hanno superato quota 1,700, un numero veramente importante ma in tutta Italia si registrano dati in continuo aumento anche legati all’importanza del settore del franchising che sta avendo un grande sviluppo.

Meno industriale, più artigianale

Il fenomeno più evidente impostosi negli ultimi anni nel gelato è l’avanzato del gelato artigianale. L’Associazione italiana gelatieri ha calcolato un aumento dei consumi dell’8 per cento nell’estate 2015 rispetto a quella precedente (l’ultimo periodo di cui abbiamo dati). Si stima che anche l’estate appena conclusa possa aver fatto segnare un andamento positivo. Il gelato artigianale venduto in Italia nel 2015 ha toccato la cifra di 170mila tonnellate, ottenute dall’utilizzo di 220mila tonnellate di latte, 64mila di zuccheri, 21mila di frutta fresca e 29mila di materie prime. Non è un caso che i grossi marchi internazionali hanno messo gli occhi sulle eccellenze italiane. È il caso del colosso Unilever che ha acquistato nel corso del 2015 la rete di gelaterie artigianali Grom.

Internazionalizzazione, il tallone d’Achille

Ma se il mercato interno, come visto, va verso la saturazione con il rischio di una guerra dei prezzi fra le varie catene che si contendono un territorio relativamente piccolo come quello italiano, l’espansione all’estero rappresenta una ottima valvola di sfogo. Se, però, rimane buono l’export legato alla produzione del gelato in sé, purtroppo non altrettanto si può scrivere per le nostre catene che solo timidamente si fanno vedere Oltralpe.

Lo stato del franchising

Secondo l’annuale ricerca di Assofranchising, il settore del franchising gelaterie yogurterie e chioschi ha mosso un fatturato pari a 241 milioni 505mila euro, con una crescita dell’1 per cento anno su anno (valori riferiti al 2015).

Ristorazione etnica: +80% di attività con menu non italiano

Mangiare etnico? Non più una moda o un vezzo passeggero, neanche per il franchising. L’Italia si sta allineando al resto dei mercati europei, dove già la componente etnica nel cibo è forte da anni. Se a questo si aggiunge la presenza della componente straniera della popolazione, si intuisce come il mercato raggiungerà la piena maturità nei prossimi anni. La Coop, la catena di supermercati, ha calcolato nel 2015 un aumento di prodotti tipici stranieri nel carrello pari al 10 per cento. Secondo una recente indagine commissionata per un brand della GDO gli incrementi più significativi sono stati registrati dal comparto orientale che con 37 milioni di euro (escludendo il riso basmati) e una crescita del 46%, ha superato il messicano. I numeri parlano così chiaramente che ora anche i big del food italiano in scatola hanno iniziato a proporre le loro versioni orientali nella grande distribuzione italiana. Milano è lo specchio di tutto il movimento: sulle 10mila imprese straniere che si occupano di cibo in Italia, un migliaio si trovano sotto la Madonnina e rappresentano ormai il 15% del totale e fatturano poco meno di un milione di euro. A Roma siamo poco sotto il 10 e a Torino sul 5. E ancora: un milanese su tre mangia cibo etnico una decina di volte all’anno. Gli italiani, inoltre, stanno raffinando il palato, cose che – almeno a Milano e dintorni – sta portando alla specializzazione della proposta: dal sushi-bar alle sushiteche, dal ramen ai dim sum fino all’onnipresente kebab.

Dagli scaffali alla ristorazione

Una crescita così significativa si rispecchia anche nelle nuove abitudini del mangiare fuori casa degli italiani. Come scrivevamo prima, l’aumento della componente straniera ha avuto e sta avendo un ruolo significativo nel boom dei ristoranti etnici. Secondo l’Istat, l’istituto nazionale di statistica, si è passati da 1 milione e 300 mila stranieri presenti in Italia nel 2001, agli oltre 4 milioni del 2011, anno dell’ultimo censimento. Una fetta importante di consumatori ai quali rivolgersi, e ancora più corposa se si aggiungono le cosiddette seconde e terze generazioni. Inoltre, cibi di strada come il kebab si stanno affermando tra le nuove generazioni italiane che, a differenza dei loro genitori, entrano in contatto da subito con il cibo etnico. Secondo le Camere di Commercio, l’aumento dei ristoranti tipici è stato dell’80 per cento solo nel periodo 2000-2007. Sempre per l’associazione camerale, almeno il 50 per cento degli italiani dichiara di esser entrato almeno una volta in un ristorante etnico.