L’intelligenza circolare ed il marketing dell’ascolto

di Gianni Bientinesi – Chief Executive Officer at Business Intelligence Group

Samuel Moore Walton l’imprenditore, filantropo e accademico statunitense fondatore nel 1962 della catena di supermercati Walmart leader mondiale nel settore della GDO per l’apertura delle giornate di formazione sulle vendite ed il servizio fece questa introduzione divenuta celebre: “Sono l’uomo che va in un ristorante, si siede al tavolo e aspetta pazientemente, mentre il cameriere fa tutto, meno annotare la mia richiesta. Sono l’uomo che entra in un negozio e aspetta zitto, mentre i commessi concludono le loro conversazioni private. Sono l’uomo che entra da un benzinaio e non usa mai il clacson, ma aspetta pazientemente che l’impiegato finisca la lettura del suo giornale. Sono l’uomo che spiega la sua disperata urgenza per un pezzo, ma non si lamenta di riceverlo dopo tre settimane di attesa. Sono l’uomo che, quando entra in un centro commerciale, sembra chiedere un favore, implorare per un sorriso, sperando solo di essere notato. Devi pensare che io sia una persona silenziosa, paziente, un tipo che non crea mai problemi… ma sbaglia.

Sai chi sono? Sono il cliente che non torna mai più!

Mi diverto guardando milioni spesi ogni anno in annunci di ogni ordine, per portarmi di nuovo alla tua azienda. Quando sono andato lì per la prima volta, tutto quello che avresti dovuto fare era solo una piccola cosa, semplice ed economica: trattarmi con un po’ più di cortesia. C’è solo un capo: il cliente. E può licenziare tutte le persone dell’azienda, dal presidente al portiere, semplicemente spendendo i suoi soldi altrove”.

In queste poche righe Walton capi già nel 1962 che la vera ricchezza di ogni azienda non erano gli immobili, il numero di dipendenti, il fatturato o i macchinari ma i clienti e la loro soddisfazione. Fu uno dei primi pionieri della grande distribuzione che fu in grado di rimettere al centro i bisogni dei clienti, l’ascolto dei bisogni e la comprensione delle loro necessità.

E’ anni che il mondo imprenditoriale (sia industria che retail) insiste sull’importanza dell’ascolto del cliente. Un tema che, di fatto, sta alla base di ogni strategia di marketing ed è propagandato in tutti i manuali del settore. Il problema è che, sebbene sia considerato fondamentale dalle imprese, spesso questo tipo di attività ha un ruolo marginale nei programmi societari, ovvero vi si investe poco.

Credo che la risposta sia tanto semplice quanto destabilizzante: perché spesso non si sa come applicare correttamente il concetto dell’ascolto cliente all’interno delle dinamiche aziendali. Per capire dove si sbaglia e come migliorare, prendo a prestito dalla scienza il concetto di “intelligenza circolare”, applicandolo al mondo del lavoro. L’intelligenza circolare identifica la capacità degli imprenditori di prendere delle decisioni dopo aver attuato un processo di sintesi tra la situazione esterna di stimolo (nel nostro caso, l’ascolto della propria clientela) ed il contesto psico-sociale. Ne deriva un sistema circolare che parte dall’ascolto del consumatore, passa dal processo di riconoscimento socioculturale, e arriva allo sviluppo di una risposta al contesto. E’ inoltre un organismo aperto, che si autoalimenta e si rigenera grazie ai continui stimoli che provengono dall’organismo stesso ma che si sintetizzano, di volta in volta, in un atto decisionale da parte dell’azienda.

Perché si fallisce?

Stando così le cose, saper cogliere l’essenza sintetica di un processo diventa la vera sfida di ogni sistema organizzativo. E cioè, se le strutture sociali ed aziendali fossero davvero in grado di sviluppare questa capacità, potrebbero migliorare la propria performance e di conseguenza ritrovare la marginalità. Ed arriviamo al punto veramente importante di tutto questo discorso: le imprese molto spesso falliscono non tanto perché l’idea imprenditoriale sia sbagliata, ma perché l’organizzazione non riesce ad attuare un processo di sintesi tra la soddisfazione dei clienti, la soddisfazione degli stakeholder di riferimento, la soddisfazione dei collaboratori e quella degli azionisti. Per far ciò, serve inoltre allocare, a monte, delle risorse per la realizzazione di un business plan e di business model. Vi sembra che io stia dicendo una cosa scontata? Non è così: negli anni passati troppi colleghi si sono visti costretti a chiudere la propria attività perché hanno seguito un loro progetto senza sostenerlo attraverso un piano economico ben strutturato.

Ricordo che nel 2018 sono fallite o entrate in procedura fallimentare 126 aziende che nel 2016 registrarono ricavi medi di 42,1 milioni di euro per un totale di 5,3 miliardi di euro complessivi.

ARTICOLO COMPLETO NELL’ULTIMO NUMERO DI AZ FRANCHISING

 

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